sabato 26 luglio 2014

LA FERITA

Ho visto dall'alto e nel suo insieme Piazza dei Priori, stanotte. Ho visto le sue bozze maculate di bianco: mi spunta un sorriso, quelle macchie sono ciò che resta dei mille rumori di sassi sbattuti all'inizio dello spettacolo. Sono la testimonianza delle nostre parole, dei nostri gesti, del nostro cammino.
Ma non è solo questo: poggio il piede nella piazza, guardo l'enorme palazzo dei Priori e nella testa inizia a rimbombarmi:"C'è, questa necessità..."
Crollavo dal sonno stanotte, ma non sono riuscita ad addormentarmi subito: un turbinio di suoni e ricordi mi affollava la mente. Nastri rossi collegavano i miei pensieri, la luce soffice e sublime di Piazza dei Fornelli inondava la mia memoria; l'ascolto privato della vista al Teatro Romano tiranneggiava sulla mia voglia di dormire. Impossibile togliersi di dosso queste sensazioni. La Ferita si è insinuata nel mio cuore. Piano, ma con decisione, ha inciso solchi larghi e maestosi su di me.
Insieme a Giordano Bruno abbiamo deciso di legarci e di vincolarci, poichè su ciò poggia l'ordine dell'universo, con Leonardo Da Vinci abbiamo dipinto un diluvio spaventoso, straziante, che inevitabilmente era rinforzato dalla frana delle Mura a pochi passi da noi. Con Consolo, poi, ci siamo disperati per il legame indissolubile che lega l'atrocità della corruzione e dello sfarzo senza limiti con la morte inarrestabile dei luoghi dove si cela la vera bellezza: rovine di meravigliose civiltà antiche, lasciate a marcire e destinate all'incuria.
Uno spettacolo collettivo, un anestetico per l'indifferenza. Io non so più neanche come potervi spiegare che cosa c'è sotto a tutto questo, quale universo si riversa in questa esperienza.
Resto estasiata davanti ai ricordi che mi attraversano di quel che è successo ieri. Forse è stato un po' un miracolo. Forse, era giunta l'ora di portare a maturazione tante piccole cose, che grazie a questo spettacolo si sono manifestate con grande potenza. So solo che ieri per me è stata anche una cura per l'anima: persone che si guardavano, sorridevano, si stupivano, usavano il loro tempo per acquietarsi ed ascoltare, si legavano con noi.
E' stato un sentiero scavato tutti insieme, un pellegrinaggio per questa nostra città che spesso arranca sotto le sue stesse ferite. E' stato un soccorso, una cura (spero), un rimedio per cercare di puntare gli occhi su quanta bellezza abbiamo attorno a noi; un soccorso, per far capire che quella bellezza che abbiamo dentro di noi, quella che nasce dalla volontà di creare legami, di amare, di volersi ancora sorprendere, può essere l'antidoto per far risorgere la bellezza fuori di noi, quella della nostra città, delle sue rovine, delle sue testimonianze di vite antiche, della sua luce, dei suoi silenzi. E così, io credo, riacquistiamo anche la bellezza della nostra esistenza. Queste sono le emozioni che ci fanno spuntare nella mente la frase: io vivo. Esisto. R-esisto. Qui ed ora.

Nessuno si salva da solo. Niente si salva da solo.

martedì 15 luglio 2014

Rendermi a me stessa

Oggi è il revival degli sbagli del passato, tenuti al nascosto in cornici scheletriche da voler dimenticare. Sbagli di ogni genere, oggi sono una mente che è come presa a bersaglio all'improvviso da quegli errori, quegli attimi di vergogna che vorrei solo amaramente lasciarmi alle spalle sotto una bufera di neve che piano piano li seppellisce. Provo a leggere, provo ad ascoltare il suono della mia voce, ma senza avviso mi fulminano e di nuovo piombo in quei momenti passati, come se li stessi rivivendo adesso. Anzi, è peggio di così: li rivivo ma contemporaneamente riesco a vedermi dall'esterno, vedo il mio corpo e le stupidaggini che compie. Ascolto la mia stessa voce, che si era congelata su banchi di vita ormai atrofizzatii. Forse, oggi, devo fare i conti con me stessa. E' giunto il momento, forse, di aprire vecchie ferite, di esaminarle bene, allargarle per poterci guardare dentro. Forse, ancora un volta, le avevo chiuse e dimenticate con troppa fretta, lasciando conti e dolori in sospeso. Ma impossibile è in realtà dimenticare. Si può spingere fino al più estremo angolino qualsiasi cosa, lontanissimo da noi, evitandolo, facendo finta di non vedere, ridergli addosso per dimostrargli che nonostante lui, si riesce a vivere e ad andare avanti. Ma non si potrà rimandare in eterno un confronto diretto, uno scontro all'ultimo sangue: c'è da fronteggiarlo, disporsi davanti a lui con lo sguardo da sfida: trionfare oppure soccombere. Ma una terza via non c'è, il tempo del galleggiamento, della non scelta si è del tutto consumato. Adesso si deve prendere il coraggio e riuscirsi a guardare negli occhi: arricchiti anche di tutti quegli indicibili errori che non riusciamo a digerire. Arriva il momento in cui si può solo assorbirli e assimilarli in noi. Altrimenti, saremo noi a cadere vinti, ad essere risucchiati in loro. Saremo loro prigionieri e ci governeranno, limiteranno il nostro agire, faranno morire una parte di noi. E ci renderanno succubi, schiavi delle loro catene vincolanti.
Forse, è giunto il momento di guardarsi allo specchio. Ed accettare anche quelle ombre dietro ai nostri occhi. E' difficile in realtà sentire e fare nostro il proprio passato, è difficile accettare di confrontarsi anche con ciò che siamo stati e che non siamo più. Nel bene e nel male.
I miei sbagli. Le mie vergogne. Quel senso di fastidio nel ricordare certe cose che probabilmente avrei potuto gestire meglio. Forse, inizia la tempesta. Forse, arriverà l'alba dopo di questa. Apro le mani verso un tempo infecondo, sterile: apro le mani al mio passato, che nel tempo in cui è stato vestito di presente ha proliferato in me frutti d'ogni genere. Adesso, c'è il bisogno di recuperare, tra questi, quelli che avevo ripudiato. Quelli più amari e più marci. Quelli che hanno lacerato relazioni, sogni, desideri, dignità, amori, superbi ruggiti di vita.
Forse, da questi frutti orribili qualcosa può nascere. Può nascere completezza. Io sono anche quegli sbagli e quegli errori. Lo sono stata. Mi hanno riempito la pelle di scorie velenose.
E' il caso, senza più forse ormai, di tracciarli e disegnarli esplicitamente, accettarli per come ormai sono: dentro di me. Parte di me. Sono miei prolungamenti. Sono me.

"Ciò che non mi uccide, mi rende più forte."
F. N.

Hanno bisogno di penetrarmi. Ho bisogno di sopravvivere al loro cieco distruggere. In questo invisibile modo, potranno fortificarmi.

E rendermi a me stessa.