martedì 10 dicembre 2013

Portrait I

C'è, nel suo modo di osservare le cose, qualcosa che mi fa sciogliere. Occhi che sono una carezza calda, occhi malinconici e veritieri. Il naso segue armonicamente la delicatezza di tutto il viso, per poi portare allo strapiombo dove si rialzano le labbra. Belle, dolci come tutto il resto. Stento a volte a racchiudere tutto questo in un unico insieme, in un unico individuo. Perchè è veramente troppo. E poi sorride, oppure si imbarazza e distoglie lo sguardo. E se era veramente troppo la cosa di prima, adesso non so più veramente dove aggrapparmi per resistere. E quando è preso da altro, quando non mi calcola nei suoi pensieri, lì raggiunge il culmine. Si rilassa, pensa ad altro, è un altro, cambia forma, adesso è un anfibio, poi falena, poi di nuovo lui. Mille modi in cui si manifesta, mille maschere, mille incantevoli forme. Vorrei toccarlo, per sentire se ha consistenza, perchè mi pare quasi una mia sublimazione, un'idealizzazione che non rispecchia la realtà. Ma è materialmente accanto a me, i nostri cappotti si sfiorano, parla, parla, parla. Tace, si gira verso di me e sorride. Un sorriso unico, che elargisce a tutti e so che con quello li conquista. Credo lo sappia anche lui. Ma non mi interessa degli altri. Il soggetto sono quei capelli, su quella fronte limpida e quelle sopracciglia che segnano la strada per indirizzarmi al suo sguardo, per poi farmi precipitare su di un suo sorriso sdrucciolevole. L'armonia delle parti. Tutto che si ricollega ad un solo Uno. Indivisibile. Posso prendere in esame ogni sua parte del corpo, farne il miglior elogio. Ma il tutto dice già ogni cosa da sè. E' fatto così, non potrebbe essere fatto in nessun altro modo, la pelle, quella può essere e basta, bianca ed ingenua, che si schiude al mondo, come un fiore raro. Quelle le sue spalle e le sue gambe, Dio le benedica per la loro linea eccelsa, per il suo fisico slanciato e quel passo un po' indeciso. Per la sciarpa che comunque non copre quel collo diafano e caritatevole. E la sua voce è balsamo per le ferite del passato, le sue parole le sceglie con cura e le incastona nel tono di voce come gemme di luce.
Tuttavia, nonostante ci sia equilibrio di forma, di bellezza in lui, le sue mani vengono usate come capro espiatorio, le unghie quasi impossibili da intravedere vengono divorate. Mi dice con un po' di rossore sulle guance (zigomi un po' spigolosi, ma decisamente sublimi) che quando è da solo capita che se le mangi. Quando riflette su di sè. Quando l'insicurezza non lo lascia distrarre. E allora, oltre la facile via dell'apparenza estetica, qualcosa scivola ulteriormente  verso la cavità profonda dell'animo sensibile alla bellezza: la sua piccola debolezza, il suo conflitto con se stesso è l'ultima vera azione che mi conquista e mi costringe a dichiararmi vinta. Va bene così. La mia unica volontà da sconfitta è quella di contemplare questo piccolo gioiello umano, estaticamente. Senza mai farlo accorgere veramente di me. E' bello così, senza altri attributi.

lunedì 11 novembre 2013

qualcosa che mi fa essere me stessa

io avverto di essere viva, mentre scrivo. Che sia arrabbiata, triste o felice, sento qualcosa. L'animo mi si infiamma mentre con scottante voracità metto in fila parole e immagini. Sento di essere qualcosa.  Ho bisogno di scrivere e di esprimere i miei terremoti, le mie distrazioni, i miei pensieri. Scelgo di affidarmi alla mia mente, capisco che è giunta l'ora di darmi spazio e accostarmi al mio stesso cuore. Lo faccio sgorgare, cerco di trattenere attimi che se ne sono già andati. E' frustrante anche. Ma le mie parole continuano a scivolarmi via dalla testa e atterrano in un fazzoletto di foglio bianco e si abbarbicano allo schermo del pc. Mentre scrivo faccio pulizia, mi rinnovo, mi purifico. Posso cambiare forma, addolcire le mie pene, oppure aumentarle. Non importa, quel che conta è che in quel momento ho un contatto con me stessa. Come uno specchio che oltre a riflettere la mia propria immagine riflette anche quello che si è posato sul fondo di questi giorni che vivo e che talvolta trascuro. Scrivere è fermarsi un attimo nella bolgia quotidiana e respirare profondamente. Un momento in cui io mi riappacifico con me stessa e con il mondo che mi sta intorno. Quando scrivo mi sembra quasi di intravedere una visione d'insieme di tutto l'universo. Non mi sento più tanto piccola. Il mio mondo si fa enorme, mi soffermo su piccole imperfezioni, le esamino e tento di analizzarle. Begli attimi, belle persone, belle cose, anche.
Scrivere. Ho un rapporto strano con la scrittura, a volte la butterei nel cesso, altre credo che sia la mia ancora di salvezza. Certe volte penso che sia solo tutto inutile, altre sento che mi eleva ad uno stato più alto dell'esistenza. Penso che sia l'unica chiave d'accesso al mio stesso essere. Credo che non potrei sentirmi (nel senso proprio di percepirmi, riconoscere che in questo mondo ci sono, esisto) senza di lei.

lunedì 2 settembre 2013

Respira, espira. Butta fuori tutto quello che hai dentro.
Ma come si fa?

Sii coraggiosa. Abbi il coraggio di guardarti allo specchio. Sii oggettiva. Valuta i tuoi difetti, valuta le tue qualità. Non scoraggiarti, non scartarti. Ma non volare troppo in alto, resta fedele alla tua immagine riflessa. ...Non ci riesci.
Non ci riesco, no. Un buco nero mi opprime, ho il cuore che mi pungola.
Geme.
Gemo. Che tristezza. Troppo densa per levarmela da sopra la pelle tutta questa frustrazione, è petrolio nero che nero mi fa vedere tutto.

Non sei adatta a questa vita.
Non sono adatta.
Non hai coraggio.
Mi manca il coraggio. Non trovo le parole, non trovo gli argomenti.
Il sorriso perchè non ti viene spontaneo, perchè non ruggisci quello che vorresti dire? Commiserarti così penosamente. Stai facendo acqua da tutte la parti, sei rugginosa, sei invecchiata di mille anni.
Non sono io. Questa non sono io.
Sì, lo sei.
...
Sei tu, che ti svegli la mattina già ferita da questa giornata che deve ancora cominciare. Sei tu che rimandi all'infinito i conti con te stessa. Sei tu, non vergognartene: nessuno è perfetto, dico bene?
Già.
Però forse ti senti peggiore degli altri.
Pavida.
Non all'altezza delle tue stesse aspettative. Sei lunatica. E vai giù di tono troppo velocemente.
E' perchè sono una debole.
E' perchè è così che ti stai costruendo.
Non ho la forza di osare oltre. Questo merito.
Sicura?
No.
Allora perchè lo fai?
Non so. Pigrizia, dolore, sensibilità, disgrazie, scuse, bugie. Sono in overdose di pensieri.
Sei solo in overdose di autocommiserazione.
Forse.
Non puoi.
Perchè?
Peggiorerà e basta. Arriverai al punto in cui veramente non riuscirai a guardarti.
Non lo faccio neanche ora. 

ma qualche volta sì, a volte pensi che ne valga la pena, che non tutto è perduto.
Sì, è vero.
E' la verità. Sì.
...
Ma dura troppo poco.
Cosa?
Questo sentirmi...Meglio? Chiamiamolo così, okay.
Fallo durare di più.
Non sono io che decido come sentirmi.
Sei tu che decidi di sopportare, gettando lo sguardo ad un paesaggio in lontananza, ma più bello e invitante.
 E' illudersi.
No, è soppesare tutto quello che potrebbe succedere se tu resistessi un altro po' a questo malessere.
Potrebbe andare peggio: credere che in futuro starò bene e invece...
Stai facendo qualcosa per migliorare la situazione?
Non so, in questo preciso momento no.
Perchè?
Non sono adatta a vivere.
Allora il problema non è cambiare le cose esterne, devi cambiare tu!
Le persone non cambiano, io sono fatta così.
Cazzate.
Perchè dovrei fingere di essere un'altra persona solo per SEMBRARE di stare meglio?
Questo è quello che stai facendo adesso. Devi buttarti. Non essere timorosa. Non ritrarti come un riccio.
Il riccio...
Sì, un riccio. Dai fiducia a questo mondo, dai fiducia alle persone che stanno fuori di te.
Fuori di me?
Sì, dai troppa importanza a quella vocina dentro che critica ogni cosa che fai.
Ah.
Già; sai una cosa?
Dimmi.
Nessuno è qui a questo mondo per giudicare incessantemente te.
Davvero?
Già. E anche se a volte qualcuno lo fa, perchè ti logora così tanto? Perchè ti fai influenzare così tanto dai giudizi?
Perchè mi vergogno.
ma di cosa?!
Di essere qua. Di vivere in un certo modo. Pensare in un certo modo. Agire in qualche modo. Mi vergogno di essere al mondo.
Ti vergogni anche di come cammini.
Esatto! E allora come posso non vergognarmi di cosa sento, di cosa penso, di cosa amo, se mi vargongo addirittura di come metto i piedi su questa terra?
Ti fai del male.
Ma non riesco a smettere. 

Prenditi una giornata respiro: chiudi gli occhi. Scaccia i brutti pensieri, rimani sola con te, ascolta cosa ha da dire ogni tua singola movenza, ogni dente storto, ogni cicatrice, ogni passo fatto male. Ti racconteranno di te, di come sei cresciuta, di cosa hai visto sognato immagazzinato dentro di te. E adesso ascoltami: chi ha mai il potere di giudicare tutto questo? neanche tu stessa! sei una storia vivente, sei il presente che incessantemente si trasforma in passato, sei un sogno che muta la pelle in futuro. Cosa hai che non va? La timidezza è la TUA timidezza, è il tuo approcciarti al mondo. Non rigettarla: prendila per mano, falle conoscere ogni cosa con delicatezza e con i tuoi tempi. Falla schiudere dolcemente al mondo. Ricordati che tu sei. respiri vivi annusi sorridi tendi le mani e aiuti.
Cambi. Migri. Cresci. guardati con serenità. Guarda gli altri con serenità. Concedi la pazienza, abbi cura anche di ciò che di te non ti piace. Sei tu.
...Sono io. Sì.
Lascia traspirare questo velo di scoraggiamento dai pori della pelle.
C-ci proverò.
Decidi tu cosa è meglio per te. Senza la paura di sentenze esterne. Vivi il mondo attraverso questo tuo corpo. Con questa tua anima. E lasciala esprimersi serenamente.

domenica 18 agosto 2013

endless

Mi offre la sua mano per salvare il nostro amore. Passione, bruciante. E poi la dolcezza. Di quella richiesta fatta sulla punta della lingua, per paura di incrinarla, se viene detta troppo forte.
Lo sguardo, limpido, deciso ma intimorito. Un cucciolo di vita appena esplosa, sugli scogli del buio.
Ho adorato i suoi occhi che non smettevano di cercarmi, boccioli di speranze appena risorte. La sua mano mi teneva alto il mento, mi costringeva a scandagliare la sua anima, che fremeva, era avida del mio sguardo.
Oggi ha scelto. Ha scelto di restare e di tenermi stretta. Oggi si è guardato per la prima volta allo specchio, e nel mentre per la prima volta ha iniziato a sognare, e a credere nel sogno. Il coraggio lo ha sorretto, sta volando.
Mi strappa dalle labbra due piccole parole, 3 sillabe in tutto, ma sono quelle che vuole gli accarezzino il pelo del suo amore. Mi sorride piano, senza sforzi enfatici, ha quasi paura di rompermi. Appoggia adesso tutta questa sua felicità sulle mie labbra, mi chiede di nuovo di rassicurarlo, ancora quelle tre benedette sillabe.
Sorrido, ancora un po' confusa, ma comunque gliele ripeto e...finalmente il mio "oscuro passeggero" può andare in letargo per un po'.

Neanche io voglio sia l'ultima volta che tu mi guardi così. Neanche io voglio che questo tuo sorriso abbia vita per un solo giorno, amore.

mercoledì 31 luglio 2013

A cosa serve stare insieme?

A che cosa serve stare insieme se ci fa stare male? A cosa serve, se in realtà il risultato sono ferite multiple? Tradimenti? Sviste? Sogni infranti? Perchè stare insieme e strozzarci con baci e carezze? Perchè questo circolo vizioso dal quale non riusciamo a chiamarci fuori? Perchè far divorare il cuore dai dubbi? Perchè cedere i pensieri più intimi, il piacere più grande a qualcun'altro, che ci devasterà?
E' successa una frana, una valanga, nella quale niente si è salvato. Io sono stata ferita, amici e amiche pure. Perchè? Dove cazzo sta il senso per tutto questo? Morire, sentirsi mancare, mortificare e comunque continuare ad amare. Amare chi ha spezzato la colonna vertebrale della nostra felicità.

Alzo gli occhi al cielo e lo trovo stellato. Buffo. Mentre mi divincolo tra questi tarli crudeli le stelle stanno là, sopra di me. Indifferenti.  E' quasi ridicolo, ho un universo davanti a me e mi perdo nel mio microcosmo, fatto di problemi, dubbi, risate a metà e pianti.
Che le stelle mi siano testimoni, brillino e veglino su questo mio dolore, sul dolore dei miei compagni. Sulle nostre disillusioni. Sui nostri amori imperfetti e tiranni.
E che mi ascoltino, perchè per l'amore abbiamo dato tutto. E' una questione di principio: fidarsi, fidarsi ciecamente ed essere calpestati, umiliati, derisi per questo.
Quanto è frustrante avere concesso tutto di noi, aver riposto tante, tantissime belle cose in una persona che ti viola così profondamente. Ti strappa qualcosa di vitale. E tu ciondoli, ancora incredula, sanguinante e stranita, in questa storia in cui ti sei ritrovata e che non riesci a capire.
A cosa serve stare insieme e ferirsi? Perchè non si è in grado di essere fedeli a dei valori, al vero bene che si nutre per qualcuno? 


A COSA SERVE STARE INSIEME?

sabato 15 giugno 2013

Ibrido

Sono un ibrido di prima categoria.
Ho sempre cercato di non rientrare appieno in nessuna etichetta. Un ibrido di mente, cuore e corpo. Mi spingo per i più diversi stili, toni o sfumature. Ti sarà difficile afferrarmi, farmi smettere di cambiare continuamente e farmi tua. Ti sarà difficile accettare le mie parole, ma ti penetreranno nel cuore e te lo faranno sanguinare, vedrai.
Non voglio essere qualcosa di definito con dei confini. Voglio essere vento e passarti attraverso, annusare i tuoi capelli e poi schizzare via verso l'oceano, il sole, lo spazio, lo stelle.


Ci sei ancora. Fra le mie piaghe, è bastato che tu riaprissi un attimo la bocca e di nuovo di sono aperti i ricordi. Sono sterili, non muoio più per te, ma la tua forza inciderà sempre su di me. Come quasi se dovessimo consumarci insieme, fino all'ultimo spasmo. Ma non sarà così stavolta. Non ti terrò aggrappato alle mie speranze, semplicemente perchè non è ciò che voglio. Mi sento avvinghiata a te, ma per il passato, perchè per te ho sperimentato il lungo spettro dei sentimenti, tutto, senza saltare niente.

Sono un ibrido. E di questo vado fiera. E' la mia punta d'orgoglio, la mia vanità.  Sono un ibrido anche per i sentimenti e per la persona da amare, solitamente amo la persona che di meno tutti si aspetterebbero che io amassi. E forse anche quella che io non mi aspetterei. Amo sorprendere. Amo andare fuori dalle righe e con tua sorpresa farti capire che mai, mai mi inquadrerai perfettamente. Per questo mi amerai, mi odierai. Mi vorrai o non mi vorrai. E forse, capirai che è un capriccio da bambina, per distinguersi dagli altri, preservare la mia natura di ibrido. E forse, per questo, proverai un po' di tenerezza per me e per te, perchè anche tu in fondo sei un ibrido, una sfida contro la natura, la "provvidenza divina". Fabbricati da solo, creati, inventati, correggiti. E tienimi per mano, fammi sentire meno sola.

martedì 4 giugno 2013

stracci di non so che, boh

La confusione mi sta distruggendo: ho frammenti di pensieri in testa, mal collegati fra loro, che gettano la rete del dubbio e nulla più.
Indecisione.
Rabbia.
Tarlo della mente.
Sono nauseata da questa mia irresolutezza naturale, per la quale sono portata fin dal giorno in cui ho iniziato a scegliere nella mia vita. Esplosioni violente fra i nodi della mente, ma tutto resta ancora in silenzio. Mi offusca, mi fa svenire, vorrei avere polso e cuore fermo, invece barcollo, ubriaca di rimorsi e di paura di sbagliare, accendo il cerino della speranza ma tutto collassa, è un soffio di vento che mi porta via la fiamma dalle dita.
Buio. Ancora confusione.
Scelgo la mia strada, facendo finta di esserne sicura, la prima curva ed è già un calvario, già mi guardo indietro e non riesco ad andare avanti. Dovrei, però. O forse no?
Piedi stanchi di non avere una rotta, di ritornare sui propri passi. Gioco a mosca cieca con la mia coscienza, gioco a mimetizzarmi con gli insetti di questa notte densa di frustrazione. Provo ad impormi di ascoltarmi, ma non riesco a capire. Tento di intessere un ponte di fili sottili fra ciò che sono e ciò che voglio. Ma cosa voglio io? Come si fa a saperlo? Quante carezze ha bisogno il mio corpo per sentirsi (anche per solo un secondo) sazio? Quante belle parole qualcuno deve cucire per me per raggiungere la mia anima?
E inoltre nel mio ventre nascono falene che vorrebbero crescere e evolversi in felicità alata, ma le lascio morire di stenti. Sempre a rincorrere il niente, le cause più perse e tumefatte.
Troverò mai pace in questa corsa disperata fatta a casaccio?

martedì 14 maggio 2013

Cenere

La regina ha scoperto le sue carte.
I castelli - menzogne, solo menzogne-
sono crollati alle sue spalle,
ai piedi di quel teatro 

che si era costruita con un sorriso 
reso freddo e brutto dalla falsità.
Non provo pena, non provo compassione,

perchè so che ci vuole una gran forza 
per portare avanti quotidianamente 
la finzione, 
che in realtà ti sta consumando dentro 
questo sporco lavoro. 
Ha i nervi ed i tendini tirati
si apre a me ma 
il tempo in cui la guardavo con indulgenza 
è tramontato da troppo tempo 
non riesco a recuperarlo.
Sarà la delusione che mi ha inflitto
Mi sono irrigidita come un vecchio ciliegio
ricurvo su una terra morta 
ed il vento che lo tormenta da sempre. 
Non ho più frutti da offrirti, 
anche volendo non posso più donarteli 
come una volta. 

sabato 4 maggio 2013

Un amore che cerca la sua giusta dimensione

Il sole è alto e illumina i pulviscoli bianchi nell'aria; io resto ancora un attimo seduta davanti alla finestra, a guardare il muro di pietra davanti, dove le ombre si nascondono nelle fessure dei sassi: un muro che sembrerebbe un colosso sicuro è invece sopraffatto dalle mille crepe del tempo.
Succede anche a noi una cosa del genere: apparentemente sembriamo intatte, il corpo è fluido nei movimenti ed anche i discorsi scivolano con facilità. Diversa è invece la situazione se si parla di pensieri e sentimenti; macerie che stanno marcendo nel cuore, i pensieri sono spaccati, divisi, logori. Difficile che ci sia un pensiero immacolato e chiaro, è più un tripudio di fulmini, impulsi nervosi che si confondono e si fondono assieme.
Così, davanti a questo muro e a questa finestra tento di creare una collana perfetta di pensieri fini e lucenti, uno accanto all'altro, senza che si disperdano. 

Cerco di schiarire le coltri di nuvole che ci riguardano.
Mesi che si susseguono e forse il sole sta per spuntare veramente. Forse (perchè ancora ho paura di sperare), io e te ci stiamo sintonizzando in un ordine di idee che nascono da un equilibrio tanto ricercato. I nostri ruggiti ci hanno spaventato troppo, abbiamo la coda fra le gambe, ma tanta, tanta voglia di viverci ancora. Non possiamo averne abbastanza, ti guardo e i tuoi occhi chiedono e danno, ad un ritmo che mi fa essere ansimante. I baci non bastano, le tue mani vogliono di più, ma neanche il sesso basta. Dovremmo trafiggerci e arrivare direttamente a quel cuore di carne e sangue, sentire che io sto accarezzando il tuo battito vitale e tu il mio. In quel momento forse smetteremmo di angosciarci, di ricercare con ferocia la pienezza, la felicità palpitante. Tu la mia, io la tua.
Cerchiamo di modularci, sussistere dentro l'altro con meno aggressività. Le paure sono tante e grandi, le gelosie infinite... Tutto questo esplode poi nella rabbia covata, i rinfacci sono schiaffi a cuore aperto.

Gli orgogli sono stati deposti, abbiamo capito quanto pericolosi possano essere, quali ferite aprano dentro l'anima: mi immagino di noi in questo momento come due sagome attorno ad un falò sulla spiaggia. Due guerrieri, che si sono accorti dell'inutilità del combattere e che adesso hanno solo voglia di amore e carezze. Mi sussurri parole sotto costellazioni che viaggiano nel cielo, incuranti dell'universo che abbiamo noi due dentro. Ti dico che ce la faremo. Che ti amo. Che ho voglia di te. Che riusciremo ad amarci senza ferirci troppo.

Ti dico che non vorrei nessun altro, ed è vero.

mercoledì 17 aprile 2013

Filosofia

Appoggio la testa su quell'abisso fatto di onde spumose e azzurre tendendo loro l'orecchio: arrivano ovattati discorsi di squisita armonia, dissonanze che però sono dolci da levigare. Decido di immergere tutto il corpo e mi lascio sopraffare: parole di persone lontane, ma che sono vicine al mio cuore, ai miei polmoni, più dell'aria e del sangue che dona vita alla mia persona. Ascolto con occhi stellati le vicissitudini, le frane del pensiero umano e il tentativo di saltare in alto, sempre più in alto, planare tra gli astri e struggersi di meraviglia per arrivare a Dio, alla sostanza, al Bene Sommo. Mi tengo fra le mani come perle discorsi acuti, alcuni ingenui e dolci, altri pesanti come il buio ma incantevoli come seta sulla pelle. Respiro Spinoza e il mondo crolla di vecchie idee tenute assieme dai tessuti del mio corpo. Un battito di vita in quelle parole, un battito di forza e volontà che mi fanno pensare "non voglio morire, voglio stringermi attorno al fuoco dei loro animi". Tutti loro, i più antichi e i più rivoluzionari, li tengo per il polso, non voglio dormire, voglio che mi tengano sveglia con le loro storie di vita e di massimi sistemi.
Trattengo granelli di verità, le sfaccettature di questo mondo che a volte mi pare troppo futile oppure troppo pesante. Vivo con loro, adagio il mio respiro al loro e mi fanno da grande culla dove tenere i germogli della mia mente.
Sorrido, perchè finalmente le mie domande trovano dei riflessi speculativi nella storia. I loro nomi sono rosari che placano la mia fame di vita e profondità. Ammiro quel professore che mi legge la poesia di Borges su Spinoza, l'altro che ci guarda e negli occhi ha punti interrogativi che indirizza verso di noi e ci narra di mondi soprasensibili, fenomeni, noumeni, vizi e virtù. Si parla di UMANITA', si parla di quei limiti invalicabili che attanagliano l'uomo ma che lo rendono libero, false credenze e dolci menzogne... Tutto nasce e muore nello spirito umano, il mondo è bellezza e putridezza, ci muoviamo alla cieca per sfamarci, senza sfamarci mai.

giovedì 4 aprile 2013

probabilmente il titolo giusto è ' vanità '

davvero, non ci riesco. Ho provato a mettermi il cuore in pace, ma continua a sgorgare sangue. Per i dolori di oggi, per le ferite di ieri.
Ci ho provato, ma mi tornano ancora in mente le sue parole sussurrate durante il concerto, mi tira dolcemente verso di sè, abbraccia le mie spalle, fa combaciare il mio corpo con il suo e mi canta "quella che non sei non sarai, a me basterà", e sorride e mi guarda con quegli occhi a cui era impossibile non credere, erano sinceri veramente. O così mi è sembrato. Ma in realtà non è andata così, mi ha abbandonato ad un angolo della strada ed è ripartito guardando di sfuggita dallo specchietto retrovisore con un sorriso di finto disappunto e di tenero e enorme orgoglio.
Mi ricordo di quando mi ha detto "io adesso sono qui per te, non ho nessun'altra; scegli tu, se ancora mi vuoi. io sono qui per te". Dio, ho stampata nella mente quella panchina all'ombra, dove la mia resistenza, la mia volontà di fare la preziosa si è sgretolata non appena l'alone del suo odore mi ha raggiunto. Mi ricordo di Bibbona, mi ricordo del bagno insieme e della notte bianca. Mi ricordo tutta la mia decisissima fermezza di credere in lui, di sperare che finalmente saltassimo insieme e spiccassimo il volo. Ma niente. Le mani si sono distaccate, io guardavo e non capivo e intanto perdevo quota. Dopo c'è stato solo il rumore assordante dello schianto e il rimettere a posto i cocci, tentare di risistemare il mio mosaico. C'è voluto parecchio, qualche tesserina credo di averla persa per sempre.
Ricordo di come mi guardava negli occhi, con quel mezzo sorriso sulle labbra fini che mi faceva impazzire. Perchè mi sembrava felice, perchè credevo di renderlo felice.

Credo si possa chiamare ' vanità ', perchè questa relazione non ha fatto altro che male, almeno parlando per me. Tutto quello che è sopravvissuto è l'umiliazione, la sofferenza, la mortificazione. Di essermi fidata, di essermi spinta oltre, ma da sola, senza di lui. Credere di poter supportare il peso del rapporto su solo le mie spalle. Non ce l'ho fatta. E' vanità: l'orgoglio non può altro che vantarsi del mio masochismo titanico, eroico, perseverante. Vado narrando le mie disgrazie, il termine giusto mi sa che è proprio "la mia tragedia shakespeariana". Lui è il simbolo della tristezza - della presa in giro.

Ma mi piace credere di essere cambiata. Sento che non gli voglio più permettere di comportarsi come vuole. Le sue battutine, no. Quelle allusioni, no. Ancora se ne vanta di aver piegato me, alla sua volontà. Ancora ha le penne gonfie di vanità (questa volta la sua) per essere riuscito ad avermi, senza amarmi, ad ottenermi, prima a non volermi, poi a volermi e poi di nuovo a non volermi, a respingermi.

17 maggio 2012

Somebody that I used to know

La guardo ma non capisco: come sia potuto sfiorire il nostro mondo, come siano potuti morire i suoi colori. Sono sorda ai suoi richiami (esistono ancora i suoi richiami?) e il suo sguardo è fugace sopra di me, mai che si soffermi per più di un attimo; cosa hai paura di trovarci in me? Forse, le distanze che ormai ci separano, due mondi nuovi sono nati dalla nostra scissione, il mio ed il tuo. Una volta era diverso, vivevamo in simbiosi (tempi andati), le nostre realtà. le nostre vite fuse. Ci rifugiavamo in camera tua, con la porta chiusa e ci dicevamo tutto, ogni singola cosa, in fretta e con la paura che qualcuno potesse ascoltare parole che invece erano solo per noi. Parole sacre, indelebili, piccoli amori, gioie e le prime illusioni.
Adesso c'è il gelo, nebbia ghiacciata sui nostri occhi. Non ci sappiamo più vedere. In realtà, non ci sappiamo neanche più cercare. Siamo cambiate, ma ciò che mi resta di traverso è che è cambiato il filo che ci legava: lo credevamo indistruttibile, forte e resistente. Adesso è sbiadito, logoro. Non siamo riuscite a tenerci strette, a sorriderci ancora nonostante tutto... Ma nonostante tutto cosa? Nonostante la vita. Le mille vie della realtà dove abbiamo giocato a perderci e poi lo abbiamo fatto veramente. E siamo andate avanti, sole, facendo finta che niente fosse cambiato.
Cosa ci accomuna adesso? Il passato, ciò che ormai non è più.

mercoledì 20 febbraio 2013

Love will tear us apart

Fabrizio una volta mi ha detto che avrei sofferto, perchè gli altri non mi avrebbero capito, sarei rimasta distante per la sensibilità che mi porto nel cuore, che è un peso grave sulle mie membra. Fabrizio aveva ragione.
La voglia di piangere mi scioglie lo stomaco, ma non è abbastanza forte per potermi liberare. Così mi resta un leggero movimento alle viscere che mi fa rabbrividire, facendomi sprofondare sempre di più nella malinconia.
Non voglio che il mio unico conforto sia un libro, un oggetto inanimato che non è capace di ridere di rimando alle mie risate o piangere insieme a me. Eppure... Proprio così è.

Darei la mia anima, forte e mutilata, per potermi abbassare e non lasciarmi sfiorare da certi pensieri che invece mi sconquassano, e tornare fra e braccia di tutti loro, dei miei coetanei, di mio padre e della mia leggerezza. Purtroppo l'essere rari, sopravvivere a certi eventi porta dietro di sè, fedele come un'ombra, un'enorme solitudine. Un'enorme incomprensione che mi pare una montagna insovrastabile. Purtroppo, l'essere forti rende un sacco deboli, un sacco insicuri dentro di sè.
Se parlo dentro di me c'è il rimbombo, le parole vagano nella prateria bruciata dei miei anni, si assimilano al vuoto che sento dentro di me, infinito e incancellabile.

Una parola, un gesto, un odore, mi rievocano ricordi color seppia, appartenenti a una vita congelata, lontani anni luce da me ma che non riesco a lasciare. Perchè, quei ricordi sono i mattoni di questo mio corpo, di questo mio animo che non trova pace o consolazione.

mercoledì 6 febbraio 2013

"Tienile queste cose, son preziose. Vedrai come ti farà piacere rileggerle"

Adesso ho capito. In questo istante quello che dovevo capire mi ha folgorato la mente e mi è ricaduto addosso il caldo del campo, i ghiaccioli che ci tiravamo, l'odore della polvere della palestra a San Lino. Quelle lettere. Quelle storie che mi ha allungato timidamente durante dialoghi fatti di brevi parole, troppo vergognose per uscire con facilità dalla sua bocca.
Eravamo piccoli, io un anno meno di lui. Ma davvero, io ora mi rendo conto che il suo amore era veramente qualcosa di stupendo. Così innocente e puro, con le guance arrossate e gli occhi abbassati. Dio mio, la meraviglia di quel momento durato anni mi sta colando addosso e mi abbraccia. E quel suo dolore che io ho alimentato, quelle speranze che tenevano duro nel suo cuore e non si arrendevano.
Quelle lettere, quelle storie.
Sì, quelle storie che ha inventato per me, per provare a farmi capire quanto mi volesse bene, quanto avrebbe voluto avermi. Ma solo per contemplare, per accarezzare piano e con curiosità quello che bramava con forza bambinesca. Quell'amore casto. Avevamo, quanto?, 11, 12 o 13 anni, no?
Ma quanto sei stato dolce con me? Volevo parlare non chiamandoti in causa, usando la terza persona singolare, ma non ci riesco.
Quei piccoli messaggi, quel "ti amo" con cui rispondevi al mio "ti voglio bene", quelle piccole cose buffe che ti inventavi... I lieti fini che ti inventavi e racchiudevi in fondo alle tue storie, che mi dichiaravano il tuo amore. Oddiomio. Scusa ma le emozioni mi dilaniano e i ricordi sono vento meraviglioso alle porte del mio cuore. Non posso fare altro che goderne.
Quanto amore entusiasta che eri disposto a regalarmi!
Quante cose taciute e dette con gli sguardi, quanti periodi senza parlarsi, quanti altri invece ne abbiamo passati a stare seduti su quel materassino all'angolo a vedere gli altri che correvano (avremmo dovuto correre anche noi,sai!?) e a parlarci di qualsiasi cosa, ogni pensiero che ci passava per la testa era una farfalla che dovevamo far volare fra noi. E mi sorridevi e ti sorridevo, ma quanto erano diversi i nostri sorrisi. I miei sono sempre stati un po' timorosi, per la paura di illuderti. Anche i tuoi erano timorosi, per la paura di innamorarti ancora di più. E soffrire ancora di più.
Dire che ti ho voluto bene sarebbe banale. Ma viene dal cuore, sai? E dal cuore viene anche un grazie che è grande quanto l'universo, davvero.

...E sì... Le ho ancora tutte con me, non una si è persa fra la strada del tempo.

martedì 8 gennaio 2013

Come può uno scoglio arginare il mare?

La Marcellina ed un suo amico (ma non tra i suoi più cari) lo avrebbe chiamato forse l'eterno ritorno.
Ma in realtà del ritorno ha soltanto la forma.
Che abbiamo fatto a pugni - io e te, io e te - fino a volerci bene.

Del ritorno non ha neanche l'odore: non ha niente a che fare con ciò che era fino ad ora.
Fino ad ora? Sì, fino ad ora era un galleggiare incerto nelle paure, nel dubbio di sbagliare. Era un'angoscia che qualche volta rifluiva in uno scatto di luce troppo breve per poterlo adorare.
Ma dopo l'ennesima botta da orbi, dopo il buio che non sembrava lasciar scampo, dopo l'incomprensione più profonda la luce è arrivata. E non se n'è ancora andata. Mi batte forte dentro il tuo cuore. Il nostro cuore. Con quegli urli, con quelle occhiate di rimprovero e di astio abbiamo trovato la base perfetta per costruirci: come sia successo proprio non lo so, io ero nel mio guscio di consapevolezza che mai avresti capito, mai saresti stato quello giusto: perchè non credevo potesse esistere uno giusto su cui avrei scaricato tutti quei pensieri, quei ricordi, quei dolori fatti soffocare in silenzio; mai pensavo di buttare tutto fuori. E dopo quella litigata così violenta, dove le mie mani erano avide di colpirti e farti male (perchè volevo renderti tutto quel male che avevi gettato su di me), finalmente qualcosa si è sciolto dentro di me. Un piccolo nodo, che teneva stretto tutto quel mondo così crudele e meschino che mi ostinavo di tenermi dentro. E cresceva forte, cresceva fiero. Ma tutto si è sollevato, una folata di vento e gli occhi proprio non sapevo come trattenerli dal lacrimare e pensavo che tutto quel dolore che mi usciva fuori dalle viscere mi avrebbe spaccato e non ce l'avrei fatta a sopravvivergli.
E tu mi guardavi, mi guardavi e avevi gli occhi di un amore che a stento riuscivi a dominare, perchè non volevi interrompermi. Volevi ascoltare. Avevo il tuo orecchio sul mio cuore ed assorbiva tutto.

E credimi, io ho creduto di rinascere. Fra le tue mani, fra le nostre lacrime. Ho ceduto un attimo, e la vita mi ha squarciato il ventre, quel luogo da tanto tempo chiuso e buio e puzzolente e in rovina è stato violato violentemente dalla luce. Mi hai riempito, mi hai riempito di vita nuova. E anche tu sembravi nuovo, le tue mani erano più dolci e lente, i tuoi occhi pieni di comprensione. Mi osservavi con gli occhi, ma arrivavi dritto all'anima e io non potevo fare altro che arrendermi. Mi sono fidata. Da quel momento mi sono fidata di nuovo, mi sono aggrappata a quella mano che tu mi offrivi.

Ho studiato per tutto il giorno quell'affannarsi disperato di tanti filosofi religiosi che vogliono in tutti i modi dimostrare che è giusto avere fede, che la fiducia in Dio è una cosa innata nell'uomo.
Per tutto il giorno mi sono sentita superiore a loro, perchè da quella notte, in mezzo a quella via, accasciata a quel muro col tuo corpo davanti al mio e il tuo amore fuso col mio, mi è sbocciata dal dolore una fiducia cieca, una fede che guarda solamente verso noi. Questo non te l'ho detto. Questo te lo dico ogni volta che mi guardi con quegli occhi colmi fino all'orlo di un sentimento che non ti so spiegare, perchè recintarlo nelle parole sarebbe veramente un abominio. Guarda nelle pieghe agli angoli della bocca quando ti sorrido, forse nel solco di queste troverai una descrizione più convincente rispetto a ciò che impacciatamente ho provato a scriverti qui.