martedì 19 gennaio 2016

Le lezioni del Saggio

Ieri ho scovato il Saggio a tu per tu con il suo Destino: eretti entrambi, si fissavano con una calma accesa e surreale, gli occhi dell'uno si conficcavano pacatamente negli occhi dell'altro. Erano speculari e disinvolti sul Ponte che già aveva fatto il suo saluto al sole e si dava senza remore all'assalto della notte. 
Il Saggio ed il suo Destino non si muovevano, solo le labbra impercettibilmente mostravano una cadenza densa ma segnata da un ritmo naturale. Gli occhi erano saette e la parole che si comunicavano dovevano essere proprio belle, perché inchiodavano sui loro visi cremosi sorrisi. Non si muovevano i loro corpi, è vero, eppure stavano danzando insieme, il Destino sinuosamente con curve di donna, ed il mio Saggio che le scorreva attorno, inebriato di questo movimento taciuto e sotteso, ma comunque restava pacato e padrone di sé. Era come le ostinate e piccole onde in riva di un enorme lago, che però non turbano la quiete d'insieme del bacino.
Mi avvicino al Ponte, mi avvicino a queste due figure, a malincuore, perchè so che la mia presenza turberà questo spettacolo sublime, infrangerò il loro quieto tentarsi. E forse sanno già prima di vedermi che sto arrivando, sanno che il loro attimo non può durare in eterno; il Saggio si gira per primo verso di me, con un sorriso da pace cosmica. Beato e, solo quanto basta, bagnato da una leggera malinconia. Il Destino allora lo segue e porta a compimento lo stesso movimento lento del Saggio, ma, a differenza sua, ha negli occhi un piccolo sisma di ansia, nonostante anche il suo sorriso a me rivolto sia genuino. Infatti abbassa lo sguardo, poi lo rialza sull'alto Saggio, gli sorride come solo tra loro due sanno fare, mi accenna un saluto con la mano e si allontana da noi. Il Saggio non può fare a meno di godersi questo atto finale, volge lo sguardo al Suo Destino che se ne va, non vuole perdere neanche un briciolo di quella camminata lenta, seducente, nostalgica. Insegue le curve di quella bella silhouette che conosce bene e solo per un attimo, un fulmine che subito si ritrae, vedo balenare sulle sue spalle il peso opprimente che deve sostenere per far vivere la bellezza di queste logiche e di questi attimi.
Ma adesso il Saggio è solo per me, mi cinge le spalle e iniziamo a percorrere la strada adiacente al Fiume, cammino assecondando la sua cadenza trasognata, aprendoci un  percorso nel buio che dilaga.
E dal Saggio sgorgano parole concentrate, messe dolcemente in fila, raccomandate affinché non disperdano nessuna delle cose che hanno su di sé e che devono traghettare fino a me. Il Saggio con la sua voce mi fa venire un amabile tormento allo stomaco, lo ascolto senza poter fare a meno di investire della necessità più urgente ogni pensiero che mi voglia comunicare. il Saggio finisce i suoi discorsi, mi mostra la sua pacatezza e la sua serietà. Mi parla di decisioni "prese di stomaco" ma guidate dalla ragione, trasuda dalla sua bocca una determinazione ed una profondità di riflessione che io credevo esistere solo nelle utopie e illusioni dell'uomo. Scavalca con lo sguardo la spalletta di mattoni e, seguendo le acque torbide del Fiume, mi narra del vuoto che adesso ha davanti e tutto intorno a sé. Adesso che con cortesia e tenerezza ha mandato via, lontano da sé Destino, con lo stesso Amore col quale fino a quel momento l'aveva amato più d'ogni altra cosa. Ride, addirittura, mentre mi dice "voglio essere in grado di gestire il Vuoto, può essere divertente, anche", ride quando mi dice "Magari ho fatto una cazzata, ma ho seguito quello che sentivo".

Diventa più serio quando ascolta le mie poche parole, mi sento un gruzzolo di sabbia scomposta, davanti alla maestosa dignità di Montagna quale è lui; o forse neanche mi ascolta, non mi risponde, lascia che le mie parole cadano nel vuoto che ci circonda. Forse si sta destreggiando in esso e cerca di disseminarci i miei suoni, così da farlo ritornare di nuovo un Vuoto completamente brullo.
Il mio Saggio se ha paura non lo mostra. Se qualcosa lo intimorisce, lo tiene a bada. A me riserva solo la sua enorme serenità ed i suoi enormi abbracci. Mi saluta con un leggero bacio calibrato sulla guancia, mi fa uno dei suoi sorrisi un po' ermetici
e
lascia che il fluire delle sue parole, formalmente pacate
mi invadano la testa
assediandola con la frenesia delle api in un alveare
mentre torno a casa accompagnata dal silenzio,

da quella quiete che precede la tempesta.
Lo sa che la sua calma, che esercita con tanta fatica,
in me diventerà terremoto caotico.
Ed infatti, ormai girato, in direzione opposta alla mia, dietro la sua barba scura

tra un passo trasognato e l'altro, sorride di questo piccolo sentore.