sabato 30 maggio 2015

Spicchi di tracce mnestiche

Mi è appena apparso nella mente il suo sorriso, insieme alla leggerezza che eravamo in grado di donarci a vicenda. Eravamo capaci anche di questo, oltre che fare discorsi da stupide depresse. Nonostante fosse la mia piccola luce nel buio più assoluto, era anche un enorme sole nelle giornate estive del cuore. Il suo sorriso era dolce. I suoi occhi diventavano più piccoli, ma brillavano. Mi prendeva in giro, mi sfotteva, io allora le prendevo la testa fra il braccio e l'avambraccio per strusciarle il pugno sopra la nuca e nel frattempo la minacciavo:"adesso passi da busseto".
Ricordo anche il suo scoppio di risata, improvviso, aggressivo, affamato di vita, di prenderla e farla sua, inglobarla a sé per sempre. Il suo riso era sfacciato, spesso presuntuoso; come lei, del resto. E questo mi piaceva davvero molto, questa spavalderia mi catturava ogni volta. Anche quando litigavamo, poi mi riconquistava con quell'aria orgogliosa e nobile. Rientravo nella sua orbita con indulgenza e allegria: la fragilità che mascherava così pomposamente mi stringeva il cuore. Non potevo che volerle bene. E gliene volevo, infatti, ogni mattina che la vedevo questo bene si auto-alimentava, ogni mattinata iniziava da una sua espressione, "che palle, oggi non ho un cazzo di voglia", "ho dormito 4 ore per studiare quelle cazzo di diapositive dimmerda"; la ascoltavo, era come un mantra...La giornata partiva davvero dalle sue parole del cazzo, il mondo da quel momento poteva iniziare un nuovo giro di giostra.
Quando penso a lei penso al suo piccolo naso, a quegli occhiali così grandi dietro ai quali si nascondeva e si difendeva dalla realtà per lei sempre troppo crudele. Li faceva ergere appena sopra le guance come una grande muraglia, come il Muro di Berlino, per una separazione netta e decisa:"dietro di loro ci sono IO, oltre c'è tutto il resto, lontano da me". La penso spesso, mi chiedo cosa diavolo stia facendo adesso, la penso spesso associata ad una parolaccia o ad una offesa. Impreco quando sento il suo nome e non riesco a trattenere una smorfia di bambina schifata.
La nostra dialettica adesso è questa, una "guerriglia" fredda, sabotaggi di riflessioni, sgambetti al suo ricordo...fatta nei tunnel sotterranei del pensiero, in profondità, dove è certo che nessuno possa capire o vedere. Le dichiaro guerra ogni pochi giorni, nella mia testa, è diventata un feticcio psichico al quale spesso comunque mi appello, anche se per associarci cose un po' poco gradevoli.
Ma stamani mi si è piantato addosso il suo sorriso, quello leggero, d'una volta, proveniente da una diversa vita, lontana. Un sorriso d'estate, verde, fresco, precario. Una piccola brezza sulla superficie vellutata del mare afoso. Le sue magliette a fiori, i suoi consigli su libri da leggere, film da vedere, sogni da realizzare. Crescere con lei è stato bello, è stato un "gioco serio" dove la posta era alta ma quasi mai considerata. Si cresceva per il piacere di crescere insieme e a fanculo tutto il resto. Potendo guardare le cose a posteriori mi rendo conto di quanto sia stato importante conoscerla, viverla, affiancarla ed allontanarla. La lontananza forzata non può scalfire quello che abbiamo racchiuso entro i nostri corpi durante quella nostra stagione di vita. Le stagioni sono fatte così, appartengono alla realtà della finitezza, sono delimitate e confinate, devono lasciare il passo alla stagione seguente che nasce ed incalza; ma sono anche cicliche. 

Magari ci rincontreremo sotto una stella benevola ad un prossimo giro di giostra.