sabato 27 dicembre 2014

Elogio alla pazienza (ed alla bellezza), I

"E' difficile spiegare quello che anch'io non so capire." (L. B.)

Ma devo parlare di quei suoi occhi enormi e belli, di quei nei e di quelle labbra, del mio brivido irrazionale se mi guarda come ha già fatto. Ho la necessità di esorcizzare quello che con coraggio mi ha sbattuto in faccia, io devo arginare e difendermi. Devo, perchè è solo uno straccio, è solo un'intuizione che non ha una forma vera e propria. Devo.
Ma lasciatemi almeno questo spazio per raccogliere una manciata di parole ed uscire da questo "devo": voglio affondare, almeno su questo schermo, il dito in questa mia piaga e lasciarla sgorgare in piena libertà, senza il peso di alcuna necessità.
C'è che amo la bellezza quando è nascosta, quando riesco a intravederla piano piano, mi piace lasciarle il tempo di manifestarsi, quando non è propriamente immediata (e magari è superficiale). Mi piace seguire le sue tracce, come un piccolo segugio, darle tempo per definire i suoi importanti dettagli, starle dietro ma senza stressarla. Non mi piace quando è sgualcita per la troppa fretta di scoprirsi. Per la bellezza ci vuole tempo, e la pazienza di non farsi bastare il primo sguardo frettoloso. La bellezza la vedo come un nucleo intimo, che sta nel luogo più riparato e protetto di ogni cosa: la bellezza sta in profondità.
La conoscenza deve calarsi quindi nei meandri di ogni suo oggetto, se vi ci vuole scorgere del bello.
Mi piace pensarmi come una pescatrice di bellezza, che paziente attenda sulla sua silenziosa barca che essa abbocchi al suo amo. E' la bellezza che viene a noi, non il contrario. Che si presenta, che si lascia vedere. Se solo glielo lasciamo fare.
E dunque, anche stavolta, l'ho trovata. Mi si è schiusa con tutta la forza e la potenza che solo la musica ha: si è manifestata magnificamente, con sguardi magnetici ed ammalianti su un tappeto di note; a tal modo da farmi vacillare, da portare il mio cervello a corrompersi e fare pensieri distorti. Lo ammetto, ho fantasticato sui suoi impulsi, ed è stato sbagliato perchè al bellezza se si cristallizza diventa qualcosa di diverso da sè; si stravolge. Perchè immediatamente lei non può che offrire un piccolo spicchio dell'oggetto ed anche di sè. Ed ecco, quindi la bellezza è intuizione, un fulmine che folgora i neuroni un attimo, ma nell'attimo dopo si estingue e non lascia che una vaga sensazione. Non si può subito poter credere di aver capito la bellezza; c'è bisogno di un altro fulmine in altro momento e in altro ambiente, e poi di un altro e un altro e un altro... Miss Beauty ha note jazz come vestiti, incomprensibili al primo ascolto, ma che ti lasciano attonito. Ed i vestiti sono solo il primo assaggio, solo la prima lieve - ma potente  per te che ne benefici- scossa che può offrire. Sei disorientato, ma non è il momento di cristallizzarsi su questo primo guizzo.
Ed ecco perchè accetto con calma quegli occhi magnetici, che cerco di sminuire l'elettricità di quelle labbra oggettivamente belle che mi attrarrebbero all'istante e che hanno rischiato di farmi inciampare sul più bello. Un verde chiaro ha indirizzato lo sguardo su di me da troppo vicino, parole troppo dirette hanno trovato il modo di incunearsi nello spiraglio di una porta interna lasciata semichiusa. una camicia bianca mi ha fatto sorridere con malizia. Il resto non posso trascinarlo qui, avrebbe la meglio la prima visione fulminea e confusa di questa nuova bellezza appena scovata.

venerdì 12 dicembre 2014

un'inflazione di "Vorrei"

Vorrei non fosse così difficile


Vorrei fosse più facile

Vorrei che non facesse così male



Vorrei chiudere gli occhi e far scomparire tutto

Vorrei chiederti tutti i miei perchè
Vorrei tu mi sapessi rispondere

Vorrei che questo sole malato scaldasse forte ogni mia cicatrice

Vorrei poter pensare di non aver sofferto invano

Vorrei non sentirmi umiliata

Vorrei essere più decisa

Non vorrei dover scegliere

Vorrei che fosse notte e vedere solo le lucine dell'albero di Natale

Vorrei sentirmi un po' meno spenta
e un po' più sicura

Vorrei che nevicasse

Vorrei non mi chiedesse niente

Vorrei piangere

Vorrei poter avere il cuore leggero e ridere

Vorrei che mi capisse dallo sguardo che trova nei miei occhi

Non vorrei scrivere
Vorrei farlo per tutta la vita

Vorrei trovarti ancora la mattina di Natale dentro uno di quei tuoi maglioni grandi e morbidi di casa, col sorriso che a stento si contiene sul tuo viso.

Vorrei fosse andata diversamente

Vorrei essere cresciuta con te al mio fianco

Vorrei essere più magra, più alta, più educata, più fine, più posata, più leggera

Vorrei la sua amicizia indietro

Vorrei il suo amore indietro

Vorrei un abbraccio di mio padre adesso

Vorrei la voce calda di mia nonna adesso

Vorrei un sorriso dolce da mio fratello

Vorrei un cappuccino con un fiore disegnato sulla schiuma

Vorrei essere a Parigi

Vorrei poter parlare tante lingue e sentirmi capita da tutti

Vorrei non essere bovarista

Vorrei non avere aspettative

Vorrei non sperare in cose impossibili

Vorrei morire


Vorrei vivere fino a 100 e passa anni, con le ossa stanche ma il cuore pieno di commozione

Vorrei poterti dire:"Grazie"

Vorrei non essere così, ma mi rendo conto che mi amo anche così

Vorrei non avere i difetti che ho, ma mi rendo conto che li amo comunque 

Vorrei respirare l'odore di pineta dopo la pioggia

Vorrei cantare

Vorrei recitare

Vorrei reclamare

Vorrei ricamare
come fa mia nonna

E nel frattempo parlare

Di te, di me, di loro, del governo ladro, della difficoltà dei sentimenti, della difficoltà dei ragionamenti

Vorrei filosofeggiare

Vorrei dialogare con Socrate

Vorrei ascoltare le barzellette di Kant direttamente da Kant

Vorrei vestirmi con il pensiero umano, accarezzare gli aforismi dei filosofi sulla mia pelle

Vorrei meno seghe mentali

Vorrei meno angoscia

Vorrei il Romanticismo
e poi l'Illuminismo

Vorrei rendere meno opprimente l'esistenza a Schopenhauer
Vorrei fosse meno fugace la felicità

Vorrei che la scienza s'innamorasse della letteratura
Vorrei che la letteratura si struggesse per la scienza

Vorrei armonizzare gli opposti



Vorrei riuscire ad essere coerente

Vorrei mettere in atto il mio dovere etico 
e non sbagliare mai.

Vorrei non dover chiedere scusa

Vorrei non ferire nessuno mai

Vorrei sapere cosa mi succede, cosi ti succede, cosa gli succede, cosa le succede,
cosa ci succede, cosa vi succede, cosa succede loro.

Vorrei essere la coscienza del mondo.



venerdì 5 dicembre 2014

Molteplicità

Occhi chiari di uno sguardo deciso, sorrisi che sbocciano come fiori ed io piccola ape impaziente di tuffarmi fra enormi petali e affondare nella sete del tenero polline.

Firenze, il concerto, amicizie che non crollano, piccoli pensieri di persone gentili, calde note che infiammano i polmoni, la solitudine libera, leggera, piacevole.

Sudore, fatica, dolori muscolari, odore di polvere, odore di adrenalina, un sacco per scaricare le tensioni, un compagno per prendersi un attimo di pausa e ridere come bambini scoperti ad architettare qualche scherzetto maligno. Voci che ti incalzano, provocano per incoraggiare. La liberazione della testa da tutti i soliti pensieri.

Pisa, la solitudine non del tutto voluta, la timidezza, la colpa, la presunta colpa, il bianco ed il verde di Piazza dei Miracoli, fughe clandestine, foglie che cadono, la pioggia violenta, la pioggia leggera, un libro, un film, una serie televisiva. E poi lo scoppio della vita, vino, birra, sigarette e super alcolici legati assieme da sussulti, risa fragorose, confessioni, condizioni, confidenze vere, confidenze false, lottare per resistere, voler morire per smettere di resistere,

Situazioni maldestre, sguardi che a stento reprimono disprezzo e intolleranza, occhi in fiamme, un passato che a stento riesco a rintracciare, un presente che non reputavo possibile, una lontananza dura e fredda come ghiaccio, silenzi fatti di orgoglio e pregiudizi, parole essiccate e morte nelle nostre gole. E nessuno sta a rivendicarle.

Quante strade e quanti deragliamenti. Quante sensazioni si provano contemporaneamente, anche se sono contraddittorie fra loro? Quante vite viviamo in questa nostra generica vita? Per quante cose moriamo e per quante altre ringraziamo di essere sempre qua, nonostante tutto? Cosa siamo? Chi siamo? A cosa tendiamo? C'è qualcosa a cui tendere? E perchè? Perchè siamo qua?
Io a volte provo la sensazione di non essere io. Sembra assurdo. In passato, quando ero più piccola, mi capitava spesso. Adesso è da tanto che io sono io, e forse per questo il rigetto verso di me è più pesante.
Succedeva alle volte che nel mentre facevo un qualcosa, io mi distaccassi da me. Cioè, dal mio corpo, non mi vedevo dall'esterno, ma la sensazione era quella. Era spaesamento forse, ma non mi riconoscevo più in quel sinolo di materia e forma che mi costituiva e mi costituisce tutt'ora; pensavo:"questa non sono io". Ma questo non mi terrorizzava. Continuavo a fare ciò che stavo facendo, ma ero anche fuori di me. Mi piaceva questo sdoppiamento, scrutarmi da un punto di vista esterno. Mi divertivano questi momenti, mi piacevano. Stavo in pace, quasi come se capissi che alla fin fine...che importa affannarsi, tediarsi con i soliti problemi esistenzialisti, entrare in fissa con paure che diventano quasi fobie... Mi bastava uno di quegli attimi e tutto diventava più minuto, meno importante. Ma non futile. Semplicemente diverso dal mio solito modo di contemplare e osservare.
Ero bambina. Ora probabilmente iper-interpreto, ma la sensazione di questa cosa che succedeva ha la stessa consistenza dell'atmosfera di casa, calda, rasserenante, mite. Ecco, quella sensazione mi mitigava.
Non so perchè sto scrivendo questo, non ero partita con questo intento. Oltretutto era da veramente tanto tempo che non ci ripensavo. Questi ricordi mi sono caduti addosso come neve.
Mi viene in mente "Il mondo di Sofia", il libro che lo stesso autore chiama "romanzo sulla storia della filosofia", quando Alberto Knox  -il filosofo- parla alla piccola Sofia di Hume (guarda un po', proprio lui adesso sto studiando) il quale, sebbene incentri la sua filosofia sull'esperienza (unico strumento per la conoscenza concesso all'uomo), riesce a non farsi fagocitare dalla sua stessa teoria e mantiene sempre un punto di vista comunque esterno e non dato per scontato: solo perchè attraverso l'esperienza si è conosciuto sempre un evento nello stesso modo, non è detto che in futuro esso non si manifesti differentemente. O che se ne presenti un altro, al posto suo. Siccome abbiamo sempre visto corvi neri, non è per questo giustificato avere la presunzione di poter affermare che non esistono (o possano esistere) corvi bianchi. Anzi....


"Questo romanzo è di chiunque si trova aggrappato ai peli del coniglio bianco tirato fuori dal cilindro dell’universo e non vuole scendere giù, non vuole abbandonarsi al sonno dell’ignoranza. Ma anche di chi, magari sbeffeggiato da tutti, continua a cercare un corvo bianco, l’eccezione che non conferma la regola..."

Tutto e il contrario di tutto.


giovedì 13 novembre 2014

La ragione fu per me l'assassina

Ho vissuto la mia vita per estremi. Ho vissuto la mia vita saltando troppo in alto e poi correndo ai ripari. Mi pare di scorgere l'esistenza passata sotto i riflettori di un otto volante, prima verso il cielo maestoso, giungere all'apice, illudersi di arrivare a scalfire il sole e poi giù, nello strapiombo, nell'oblio di una galleria sotterranea e buia.
Ho ucciso il mio istinto. La mia mente ha ucciso il mio istinto. Lo ha raso al suolo. La sua colpa? E' stata quella di avermi catapultato con troppa intensità in ogni cosa che facessi; quasi senza filtri, senza pelle che potesse un minimo preservare l'anima. Sono arrivata in alto, ho vissuto intensamente quello che ho trovato a quelle altitudini. Ma è stato un fuoco d'artificio troppo breve, perchè ho pagato cara la sfacciataggine di cui mi aveva vestito l'istinto. Sono arrivate le mazzate vere, che hanno tolto la poesia in ogni cosa. La poesia della presunzione di scambiare per certezza ciò che non lo è. La mia anima si è frantumata. E l'istinto non l'ha salvata.
Quando è così fa ancor più male. Sono crollata, ho perso le mie piume e la gravità ha trionfato.
Il dolore è stato così acuto che mi ha paralizzata, traumatizzando la mia ingenua stupidità: mi sono promessa di non dare più niente per scontato. Mai più avrei seguito l'istinto e le mie impressioni. Perchè non è detto che queste armi ti mostrino il vero. Niente più illusioni, mi sono sussurrata, da adesso in poi non ascolterò più niente...tranne ciò che ha tra le sue pieghe fondamenta sicure. Pilastri di razionalità alla sua base. Su cui non si può dubitare.
E da lì, io non me ne sono accorta subito, ma la Ragione ha affondato le sue radici e si è insinuata in ogni cosa. Ha avuto inizio la tirannide.
Ogni cosa è stata posta sotto osservazione ed esame. Se era bagnata da un minimo accenno di dubbio, non poteva essere presa in considerazione. D'un tratto, ho dubitato d'ogni cosa. D'un tratto, non ho potuto più fare affidamento su niente. Mi sono ritrovata nel cuore angosciante dell'indecisione, in una stallo che mi ha svuotato. Perchè, non potendo contare su niente, non potendo sapere NIENTE CON CERTEZZA, non potevo più scegliere. E mi sono immobilizzata, irrigidita ancora di più sotto le mie stesse membra. Ho smesso di vivere, ero diventata il mostro di Cartesio. Il cervello aveva atrofizzato i miei impulsi. La razionalità mi aveva distrutto, proprio come in altro modo aveva fatto l'istinto. Eccole, allora, le facce di una stessa medaglia. Sensazione contro ragione. Immediatezza contro immobilità.
Per questo dico che ho vissuto attraverso estremi. E adesso sono stanca di questo dualismo autodistruttivo, dell'eterno contrasto fra bianco e nero. Ho bisogno di una pelle razionale, che mi dia le potenzialità di contenere quanto basta questi fasci di immediati impulsi sventati d'istinto.

Voglio fondere istinto e ragione. Voglio forgiarmi di nuovo, intrisa di due estremi. 
La vita è troppo breve per essere bruciata dall'istinto; e lo è anche per essere cementificata dalla mente.

"soffrirò, morirò....ma nel frattempo sole, vento, vino e trallalà" (Misa Sapego)

sabato 26 luglio 2014

LA FERITA

Ho visto dall'alto e nel suo insieme Piazza dei Priori, stanotte. Ho visto le sue bozze maculate di bianco: mi spunta un sorriso, quelle macchie sono ciò che resta dei mille rumori di sassi sbattuti all'inizio dello spettacolo. Sono la testimonianza delle nostre parole, dei nostri gesti, del nostro cammino.
Ma non è solo questo: poggio il piede nella piazza, guardo l'enorme palazzo dei Priori e nella testa inizia a rimbombarmi:"C'è, questa necessità..."
Crollavo dal sonno stanotte, ma non sono riuscita ad addormentarmi subito: un turbinio di suoni e ricordi mi affollava la mente. Nastri rossi collegavano i miei pensieri, la luce soffice e sublime di Piazza dei Fornelli inondava la mia memoria; l'ascolto privato della vista al Teatro Romano tiranneggiava sulla mia voglia di dormire. Impossibile togliersi di dosso queste sensazioni. La Ferita si è insinuata nel mio cuore. Piano, ma con decisione, ha inciso solchi larghi e maestosi su di me.
Insieme a Giordano Bruno abbiamo deciso di legarci e di vincolarci, poichè su ciò poggia l'ordine dell'universo, con Leonardo Da Vinci abbiamo dipinto un diluvio spaventoso, straziante, che inevitabilmente era rinforzato dalla frana delle Mura a pochi passi da noi. Con Consolo, poi, ci siamo disperati per il legame indissolubile che lega l'atrocità della corruzione e dello sfarzo senza limiti con la morte inarrestabile dei luoghi dove si cela la vera bellezza: rovine di meravigliose civiltà antiche, lasciate a marcire e destinate all'incuria.
Uno spettacolo collettivo, un anestetico per l'indifferenza. Io non so più neanche come potervi spiegare che cosa c'è sotto a tutto questo, quale universo si riversa in questa esperienza.
Resto estasiata davanti ai ricordi che mi attraversano di quel che è successo ieri. Forse è stato un po' un miracolo. Forse, era giunta l'ora di portare a maturazione tante piccole cose, che grazie a questo spettacolo si sono manifestate con grande potenza. So solo che ieri per me è stata anche una cura per l'anima: persone che si guardavano, sorridevano, si stupivano, usavano il loro tempo per acquietarsi ed ascoltare, si legavano con noi.
E' stato un sentiero scavato tutti insieme, un pellegrinaggio per questa nostra città che spesso arranca sotto le sue stesse ferite. E' stato un soccorso, una cura (spero), un rimedio per cercare di puntare gli occhi su quanta bellezza abbiamo attorno a noi; un soccorso, per far capire che quella bellezza che abbiamo dentro di noi, quella che nasce dalla volontà di creare legami, di amare, di volersi ancora sorprendere, può essere l'antidoto per far risorgere la bellezza fuori di noi, quella della nostra città, delle sue rovine, delle sue testimonianze di vite antiche, della sua luce, dei suoi silenzi. E così, io credo, riacquistiamo anche la bellezza della nostra esistenza. Queste sono le emozioni che ci fanno spuntare nella mente la frase: io vivo. Esisto. R-esisto. Qui ed ora.

Nessuno si salva da solo. Niente si salva da solo.

martedì 15 luglio 2014

Rendermi a me stessa

Oggi è il revival degli sbagli del passato, tenuti al nascosto in cornici scheletriche da voler dimenticare. Sbagli di ogni genere, oggi sono una mente che è come presa a bersaglio all'improvviso da quegli errori, quegli attimi di vergogna che vorrei solo amaramente lasciarmi alle spalle sotto una bufera di neve che piano piano li seppellisce. Provo a leggere, provo ad ascoltare il suono della mia voce, ma senza avviso mi fulminano e di nuovo piombo in quei momenti passati, come se li stessi rivivendo adesso. Anzi, è peggio di così: li rivivo ma contemporaneamente riesco a vedermi dall'esterno, vedo il mio corpo e le stupidaggini che compie. Ascolto la mia stessa voce, che si era congelata su banchi di vita ormai atrofizzatii. Forse, oggi, devo fare i conti con me stessa. E' giunto il momento, forse, di aprire vecchie ferite, di esaminarle bene, allargarle per poterci guardare dentro. Forse, ancora un volta, le avevo chiuse e dimenticate con troppa fretta, lasciando conti e dolori in sospeso. Ma impossibile è in realtà dimenticare. Si può spingere fino al più estremo angolino qualsiasi cosa, lontanissimo da noi, evitandolo, facendo finta di non vedere, ridergli addosso per dimostrargli che nonostante lui, si riesce a vivere e ad andare avanti. Ma non si potrà rimandare in eterno un confronto diretto, uno scontro all'ultimo sangue: c'è da fronteggiarlo, disporsi davanti a lui con lo sguardo da sfida: trionfare oppure soccombere. Ma una terza via non c'è, il tempo del galleggiamento, della non scelta si è del tutto consumato. Adesso si deve prendere il coraggio e riuscirsi a guardare negli occhi: arricchiti anche di tutti quegli indicibili errori che non riusciamo a digerire. Arriva il momento in cui si può solo assorbirli e assimilarli in noi. Altrimenti, saremo noi a cadere vinti, ad essere risucchiati in loro. Saremo loro prigionieri e ci governeranno, limiteranno il nostro agire, faranno morire una parte di noi. E ci renderanno succubi, schiavi delle loro catene vincolanti.
Forse, è giunto il momento di guardarsi allo specchio. Ed accettare anche quelle ombre dietro ai nostri occhi. E' difficile in realtà sentire e fare nostro il proprio passato, è difficile accettare di confrontarsi anche con ciò che siamo stati e che non siamo più. Nel bene e nel male.
I miei sbagli. Le mie vergogne. Quel senso di fastidio nel ricordare certe cose che probabilmente avrei potuto gestire meglio. Forse, inizia la tempesta. Forse, arriverà l'alba dopo di questa. Apro le mani verso un tempo infecondo, sterile: apro le mani al mio passato, che nel tempo in cui è stato vestito di presente ha proliferato in me frutti d'ogni genere. Adesso, c'è il bisogno di recuperare, tra questi, quelli che avevo ripudiato. Quelli più amari e più marci. Quelli che hanno lacerato relazioni, sogni, desideri, dignità, amori, superbi ruggiti di vita.
Forse, da questi frutti orribili qualcosa può nascere. Può nascere completezza. Io sono anche quegli sbagli e quegli errori. Lo sono stata. Mi hanno riempito la pelle di scorie velenose.
E' il caso, senza più forse ormai, di tracciarli e disegnarli esplicitamente, accettarli per come ormai sono: dentro di me. Parte di me. Sono miei prolungamenti. Sono me.

"Ciò che non mi uccide, mi rende più forte."
F. N.

Hanno bisogno di penetrarmi. Ho bisogno di sopravvivere al loro cieco distruggere. In questo invisibile modo, potranno fortificarmi.

E rendermi a me stessa.

martedì 24 giugno 2014

little things make me happy

Serate in compagnia di qualche birra e amici sorridenti. Serate calde, odore di spensieratezza ovunque. Serate vissute tra sigarette e scoppi di risate, un po' in piedi e un po' seduti dove capita. Serate rivelatrici, la luna splende alta e ci protegge col suo fascio argentato e ci fa stare tutti un po' più vicini. E piove, su queste serate, quello sguardo. Chiaro. Mi sembra di leggerci dietro indulgenza e dolcezza. Sono degli occhi che mi hanno colpito forte al petto. Guardano senza arrendersi, penetrano e si radicano ben profondamente. Infondono sicurezza, lasciano che ti siedi comoda e a tuo agio davanti a loro. Non hanno la presunzione di chiedere. Ma donano molto.
Inatteso, è arrivato di soppiatto alle spalle questo senso di divertimento leggero e piacevole. Ha bussato timidamente alle spalle, mi ha fatto girare verso di lui. Ha abbozzato un sorriso e ha iniziato a parlarmi di piccole cose quotidiane e storielle reali. Cose inutili. Ma belle da gustarsi e a cui replicare con altrettante cose futili. Un divertimento leggero, ma pieno di energia, da sangue che pulsa forte nel corpo e ti dà la forza per erigere un sorriso incredibilmente bello, che infonde ancora di più calore sulla pelle. Brevi frasi. Poche. Silenzi. Di nuovo parole. Sguardi.

E occhi, che restano in un piccolo antro della mente, un po' più in disparte adesso, ma che vegliano su ogni cosa. Sono onnipresenti, mi colgono impreparata e mi accecano, irrompendo con balzi leggiadri. Sorrido di questo mio tornare bambina, del meravigliarmi di qualsiasi cosa. Anche di questo sguardo genuino.

domenica 15 giugno 2014

Selfie a parole: contraddizioni interne

C'è sadismo in ogni approccio di dolcezza. C'è masochismo in ogni atto di altruismo. Qualcosa arriva, qualcosa si perde nelle pieghe stropicciate della vita. Qualcosa tenta di resistere, è disposto a subire i rimodellamenti necessari per poter ancora sperare di avere qualcosa in cui sperare. E' disposto a cambiare lineamenti, contorni e tenta anche mutamenti nelle impalcature interne. Sarà veramente possibile quest'ultimo cambiamento, oppure è giusto un'ennesima illusione fra le tante? Purtroppo, la risposta arriverà troppo tardi, aspetta che il percorso venga iniziato e ormai sia irremovibile, per manifestarsi. C'è poco da fare. Tocca saltare: o sei pronto a volare, o neanche avrai il tempo di ascoltare il tuo stesso tonfo.

Io non ho pazienza. Io non riesco ad aspettare, a calcolare con freddezza i dati che mi arrivano dall'esterno. Io pulso. Brucio tutto nel giro di pochi istanti: le parole, i gesti, le attenzioni. La vita mi scorre addosso direttamente, come se non avessi pelle che mi fa da filtro. Tutto mi attraversa, tutto mi modifica. Un lungo respiro nel mondo, inspirazione e subito dopo espirazione. Questo sono. Faccio a botte con i compromessi e le mezze misure, sebbene sappia a mente fredda capire che sono le uniche tappe possibili per raggiungere l'altro. La mia insicurezza mina le basi del mio essere, che ha sempre bisogno di aggrapparsi ad un nuovo equilibro, istante su istante. Quindi necessito di reazioni immediate che mi tengano a galla. Testarda però, le reazioni devono essere come io le ho pensate. L'imprevisto mi affascina, quello che manca mi distrugge. Basta poco per detronizzare le mie speranze, basta un soffio di vento per far cadere nell'oblio il mio nido intrecciato di morbidi fili di sogni e bei pensieri. Sono forte e debole allo stesso tempo.
Non ho pazienza. Non riesco a rassegnarmi nell'esatto attimo di disperazione. Incespico nell'indecisione, continuo a brancolare disperdendo energie, per neanche muovermi d'un passo in realtà.
Ma... trovo riposo poi:  una parola esatta, una poesia, un tono di voce melodioso, un gesto compiuto con eleganza, uno sguardo dolce. La bellezza mi distende, disperde i miei foschi pensieri e annienta il mio pessimismo esistenziale. Intuisco inconsciamente un buon motivo per essere qui, in questo mondo, in questo anno e in questo attimo. la bellezza. Il dolore che si trasforma in arte. La perdita che trova un po' di consolazione in essa. Della bellezza non sarò mai sazia, anche se qualche volta è successo che mi trapassasse con così tanta intensità da farmi mugolare di dolore e gioia insieme, da stordirmi e farmi sorridere dentro lacrime calde, veramente tanto salate.
Poco importano allora il sadismo ed il masochismo. Di fronte alla bellezza, posso accettare di patire tutto. Accetto i dolori più grandi, i sogni più belli che si sono infranti, le certezze false e date per scontate che sono state sradicate via dalla mia vita. Per quella sensazione di pienezza e vita e luce, racchiusa in un guizzo di bellezza, mi sento così piena di voglia di vivere che non riesco più a dire "non ce la faccio". E' un gioco perverso, forse al massacro, ma finchè c'è bellezza probabilmente c'è speranza. Malconcia, affamata, incredula, picchiata e derubata, scottata e straziata...torno a credere, ad avvertire un calore dolce nel cuore (che non controllo, è un lampo, come una molla scatta, tac!) che mette le radici, cresce e produce i frutti della speranza, quando mi ritrovo davanti a microcosmi che racchiudono un sentimento sterminato di bellezza.


La bellezza è la mia salvezza.

venerdì 23 maggio 2014

Sarebbe un attimo

Nonostante tutto, ho immaginato fino alla fine che con la notte saresti arrivato anche tu. Avreste condiviso lo stesso passo silenzioso e sapiente. Sarei scoppiata di gioia nel vedere te nei tuoi jeans, nella tua maglietta scolorita, e sempre con indosso un sorriso per me. Con la notte a braccetto, il tuo zaino grande sulle spalle. Saresti entrato in questa casa fin troppo silenziosa e tutto subito avrebbe cambiato aspetto: non l'avrei mai più rivista così bella, ora che c'eri tu dentro. Lo zaino sarebbe stato scaraventato da qualche parte, ci saremmo squadrati. Ci sarebbe stato un po' di silenzio da infilare nelle nostre commozioni. Tu forse saresti stato un po' traballante, per un'ultima volta avresti pensato:"e se avessi sbagliato a venire qua...", ma poi io non ce l'avrei più fatta a controllarmi, il sorriso sarebbe scappato dal covo dove lo tengo rinchiuso, di colpo ritornava alla luce, forte e fiero. Forse un po' polveroso, ma si sarebbe subito scrollato di dosso i rimasugli di certe giornate buie per gettarsi su di te. Gli mancavi molto.
Una questione di attimo, un fulmine. E ci saremmo ritrovati di nuovo in questa cucina, a prepararci qualcosa da mangiare, magari prima avremmo fatto un volo al carrefour per comprare qualche schifezza per riempire  il letto di briciole, dopo. Di colpo, a tavola, con del vino, con degli occhi che per intere notti ho cercato di ridisegnare accanto a me nel letto freddo. E ridere e piangere, confessarci cose, rimanere per un attimo zitti e poi sorriderci. Come se fossimo senza tempo e senza peso. Ma le nostre essenze unite, tra dolci fusa di ricordi sbiaditi e questo istante atemporale nel quale ci saremmo relegati una volta in più. Le uniche due vere realtà saremmo state tu ed io.
La tua pelle nuda, ancora. Bianca. Tenera. Senza chiederci nè come nè perchè, semplicemente le domande non si sarebbero affacciate sulle nostre tempie, avremmo saputo entrambi che quel tempo era troppo essenziale per sprecarlo con le nostre incertezze. Quel tempo avrebbe disegnato la sagoma soltanto a noi, questo permetteva, un nostro abbraccio secolare, perpetuo, che si prolungasse oltre i confini di questo attimo rubato alla tirannia della razionalità e della logica. Saremmo stati puramente noi.

E questo gioco d'immaginazione stavolta l'ho tracciato dall'inizio alla fine. Ho bene in mente il tuo arrivo ma anche la partenza dopo una notte respirata assieme. Il ritorno alla realtà. Ma prima ci sarebbe stata un'ultima nostra parentesi. Un viaggio, col sole di mezzogiorno che ci dipingeva strane striature sulla pelle, un viaggio ancora fuori dal mondo, sebbene ci stessimo muovendo in esso per tornare nelle logiche delle rispettive vite. Un tragitto non molto lungo, ma sufficiente per colmarmi con la tua figura. Adoro mentre guidi, adoro quando ti accorgi che ti sto guardando, ricambi lo sguardo, arrossisci un poco e con un sorriso timidissimo mi chiedi:"che c'è". Io non so mai che risponderti, ho la sensazione che le parole incrinino e deformino ciò che sto provando nell'osservarti. Arriveremmo alla fine, fuori dalla porta ti fermeresti, ti gireresti, toccheresti una mia gamba e mi guarderesti, prudente. In quel momento tutto si ritira da ciò che è stato, ti sorrido, ma già diversamente, già ci siamo uniformati al mondo. Ti bacio per un'ultima volta, con i muscoli tesi, già pronta a saltare via dalla tua macchina. Quando chiudo la porta di casa mi sento più ricca: si aggiunge al mio tesoro una nostra sbandata oltre questa realtà.

Ma stavolta, nella realtà, non sarà così. Già mi sento più povera, percependo l'assenza di questo zaffiro non nato dal mio tesoro. Ho nelle orecchie conficcato il suono del frigo. Ronza. Mi uccide, nell'ombra di ciò che ho appena composto solamente con la testa.

giovedì 1 maggio 2014

Solitudini prudenti

Dove ho sbagliato? Ho sbagliato? Cosa c'è che non va in queste trame di pensieri disperse nel fango? Oggi mi ritrovo a tu per tu con la mia faccia: accanto a me niente e nessuno, un'effimera effige di un indagatore malizioso mi incrimina di fronte alle mie stesse condizioni: sei sola, il suo sorriso maligno mi dice.
Una solitudine a cui non ho posto rimedio. Mi lascio catturare dalla rete di queste assenze, vorrei fare qualcosa, ma cosa? Non ho abbastanza coraggio per modificare la situazione, non ho abbastanza vigliaccheria da mettermi da parte. Mugolo. Piagnucolo. Cerco la solitudine e la respingo. Senza mai risolvermi. In un giorno di festa ho deciso di preferire un effimero sguizzo di vecchie passioni (che dovrò allontanare al più presto, dovrò farlo, cristo) rispetto ad una nuova vita. La scelta sbagliata nel perfetto attimo di presunzione. Credevo di avere in mano il mondo e adesso il mondo mi volta le spalle. Il fatto è che, comunque, non riesco a stare bene in nessun modo, sola o non sola. Manca sempre un sapore sulla mia lingua. L'assenza di questo mi si fa terribilmente pesante, a stento riesco a non incrinarmi. 

martedì 8 aprile 2014

il dolore, senza possibilità di riscatto immediato

Vorrei che questo dolore finisse, subito. Che la smettesse di pungolarmi e di ferirmi mentre sono indifesa. Ci sono stati giorni in passato che lo agognavo come non mai, speravo di soffrire e patire tenacemente, perchè mi illudevo di essere diventata sterile ad ogni emozione. Non è così, e solo adesso me ne accorgo. Sarò forse la fiera dei luoghi comuni adesso, ma quanto è acuto e stringente questo pensiero adesso, mi opprime la gola. E' stupido desiderare il dolore, lo si fa sempre con una certa leggerezza, leggerezza effimera e falsa, che non racchiude mai la vera essenza di ciò che viviamo.
Un soffio di incredulità e di rabbia riesce a sradicare metri e metri di tentativi di impiantare una sola verità:"al di là di tutto, ce la possiamo fare, riusciamo ancora a resistere"". Il soffio adesso in me è forte è bufera e urla e si dimena e picchia contro i limiti-confini del corpo, non riesce a trovare uno sfogo adeguato, le perle che tentavo di preservare non esistono ed è come se non siano mai esistite. Questa impotenza...è logorante, mi brucia gli occhi mentre l'incendio dentro avvampa sempre di più, martella alle pareti della razionalità che non trova svincoli in cui salvarsi. Non ha senso. Ancora, di nuovo, non c'è un motivo che possa placarmi. Non c'è silenzio che possa curarmi, non ci sono parole che riescono a sfamarmi e a calmarmi. Vorrei chiudere gli occhi, far scomparire questo quadro a tinte troppo pesanti che mi opprime lo sguardo. Quanto è facile far fallire tutto, quanto è incredibile nell'intermezzo di un battito di ciglia cambiare completamente una situazione. Il prima adesso è un mondo distaccato dal reale, eppure era proprio la realtà che fino a pochi respiri prima stavi risucchiando in te. Quegli sguardi, quella dolcezza, quel bene forte dentro i nostri petti. Era resistito tutto ad ogni sorta di colpo basso. e puf... veniamo a ora: ora tutto è stato trascinato via violentemente,non c'è più niente a cui aggrapparsi, la vita che ho vissuto è scomparsa, con una sorta di magia perversa. E tutti quegli sforzi, tutta quella sopportazione, tutto questo mio continuo ribellarmi e crederci ancora...che fine hanno fatto? che senso hanno adesso? Banalità. Umilianti banalità di cartongesso fracassato e distrutto.
Vorrei finire di pensare, basta riflessioni, basta ricordi, basta dolori. Basta con questo malessere inconciliabile con una qualsiasi consolazione. Mi sento persa, mi sento vuota. Brancolo timidamente e senza più forze.
In che razza di posto orribile mi hai abbandonato?

domenica 6 aprile 2014

Trai sempre qualcosa di positivo da ciò che si sta vivendo - La versione di un padre

Ti ho cresciuta sotto l'ala della dignità. Ti ho cresciuta col cuore in gola affinchè sempre (e dico sempre) ti fosse concessa la libertà di parlare, sbagliare, dire una cazzata magari, ma comunque libera di esprimerti e di sbocciare ogni qual volta tu volessi. Ti ho fatto imparare l'alfabeto del rispetto, senza però che questo riuscisse a scalfire il tuo particolare modo di osservare le cose. Ti ho abbracciato anche quando ero sempre arrabbiato con te. Quasi mai mi sono permesso di urlarti o di litigarti, solo quando l'ho reputato necessario per la tua educazione. Mai perchè non volevo farti manifestare. Ti ho cresciuta con la dolcezza di un padre innamorato, ti ho cresciuta e non c'è giorno in cui io non ringrazi Dio per avermelo concesso. Ti ho cresciuta su valori che reputo fondamentali per vivere armoniosamente con se stessi e con il resto di questo grande mondo. Non posso adesso permettere che qualcuno calpesti il tuo essere. Tu sei vissuta tra idee condivise, mai ripudiate e offese, sei cresciuta in vista di preservare per sempre il sacro diritto all'amor proprio, alla dignità che in primis deve investire noi stessi. Allontanando chi la minaccia, costringendoci a rialzarci più forti di prima, combattendo per mai restare malconci sotto parole cattive. Ti ho cresciuta per essere come il vento, impossibile da arrestare, impossibile da far morire. Voglio tu sia come le pietre di queste nostre mura medievali, voglio che il tempo ti abbellisca soltanto, ti levighi e ti lavori senza conoscere restrizioni da parte di chi invece, vuole affermarsi ed imporsi. Non voglio che la fiducia che riversi nel mondo venga macellata e fatta scomparire, voglio il più possibile farti preservare la tua ingenuità, la tua voglia di dire "così non è giusto, dobbiamo fare qualcosa". Voglio che questo sia il tuo nord, la bussola che ti permette di orientarti nel labirinto dell'esistenza. E non voglio mai che tu ti senta sola, o con le spalle al muro. Non lo sarai mai, il mio respiro è in qualche modo indissolubilmente attaccato alla tua anima, i miei occhi non smetteranno mai di vegliare su di te. C'è sempre una scelta, un qualcosa che possa cambiare le carte in tavola e che illumini nuove possibilità. Non arrenderti. Non accontentarti. Vivi. Vivi sul serio, vivi volendo ciò che stai vivendo. Sii l'artefice, il capitano, il rematore, il giudice della tua esistenza.
Sei il mio piccolo germoglio di luce.

martedì 1 aprile 2014

Gli amori difficili - Italo Calvino

Potremmo essere in giro a passeggiare in una città qualunque, col caldo, mano nella mano e io dovrei accorgermi del tuo sorriso triste e allora darti un bacio o prenderti il viso e farti fare una smorfia che mimi la gioia. Sorrideresti e il mio desiderio di felicità per te sarebbe compiuto.
La verità è che i tuoi sorrisi tristi a me piacciono, perché a te stanno bene, perché li sai trattare, li sai adoperare e mettere in fila senza che rompano le righe. Se lo facessi io sarei penoso.
Questo è il punto: faccio pensieri e desidero cose nuove. Non importa cosa so. Per la prima volta, non importa.
Non so da dove vengono o come si chiamino e non potrei spiegarle a nessuno eccetto te, con un po’ di tempo, con un po’ di pause, con quei silenzi che non saprei riempire, all’inizio.
Ma potrei imparare.
Sono un pessimo romantico, lo ammetto. E’ per questo che non sono riuscito a farti innamorare. Lo so che è così.
Ho immaginato che potessi bastare io, con i miei modi normali e l’aria spavalda. Fintamente sicura. E del tempo, per spiegarti quello che manca, per farti vedere che ne sarebbe valsa la pena, alla fine.
Ho provato, che dire, a farmi scegliere. Ho sperato. Dovevo. Era una possibilità, capisci? Come fare a metterla via, a dimenticarla. Forse aspettando, forse non era il momento. Forse io e te abbiamo un altro tempo. Sono sicuro che con qualche giorno in più, ora in più, ti avrei portato via con me. E’ l’idea che almeno una volta succeda, no? Hai presente? Quell’idea invasiva e sotterranea che si inabissa o si palesa e lo fa una volta sola per tutte e se l’avverti non puoi far finta di niente se hai un po’ di senno.
Come un sibilo fluttuante e sinuoso.
A me è successo questo: non sono riuscito a fare finta di niente, non volevo, in fondo.
Non potevo far altro che cercare di portarti con me, dal profondo, per egoismo quasi, per farmi stare bene. Anche se sapevo di non potere. Anche se era rischioso. Anche se tu non vuoi, anche se, infine, la tua felicità non dipende da me.
E non posso fare a meno di chiedertelo di nuovo. Solo per essere sicuro.
Verresti?

sabato 22 marzo 2014

Dedicato a

Questa volta la porta si è chiusa dolcemente, con un rumore di fusa. C'è stato un sorriso, mentre ho abbassato lo sguardo sul parquet, che non ho cercato di nascondere. Era un sorriso morbido, senza impegno di alcun genere. Di colore tenue.
Il mondo si è fatto meno pesante. Riesco a guardare le cose in faccia senza sentire male. Le nuvole, sebbene abbiano abbottonato ben bene l'azzurro sereno, non hanno un'aria minacciosa. Anzi. Mi danno un senso di tranquillità, il loro bianco sporco ha un che di accogliente.
Adesso non ho più paura. E' qualcosa che da tanto tempo non provavo, qualsiasi forma esistente mi impauriva. Mi faceva sentire fragile. Posso dire di avere il controllo. Dentro di me sento una vecchia presenza che fino ad ora non avevo più avvertito. Sono gli occhi di quella me che non si arrende, che sorride e ha in pugno il mondo. Questo mi riporta a sere d'estate di molti anni fa, quando mi piacevo ed ero fiera di me. Importavano poco gli altri, io mi sentivo bene. Cosa che ho perso nel crescere. Vuoi per dolori grandi, per delusioni disarmanti. Ma avevo lasciato il filo che mi univa a me stessa.
In Enten-Eller, Kierkegaard fa dire questo allo pseudonimo B:"...e se il malessere dipendesse da una causa esterna a me, io chiedo perdono per essermi fatto influenzare da quella cosa, per averle permesso di farmi soffrire". Ed eccoci adesso alla resa dei conti.
Grazie a quei tuoi occhi di esile dolcezza qualcosa si è rinvigorito a me. Grazie alle tue parole, ho ritrovato lo sguardo di quella me più giovane, ma più energica e sprezzante del mondo intero, che sa il fatto suo e questo le bastava per darsi forza. Le mie ali sono di nuovo attaccate alla schiena. Sto di nuovo guardando il mondo dall'alto, non più da un punto infinitamente basso dal quale sembra tutto schiacciante e inaccessibile.
Le parole sono importanti. Sì. Ma non per pignoleria. Sono importanti umanamente, tra individui, tra entità che entrano in contatto e si modificano, si rileggono in chiave diversa, si mescolano e contaminano.
La porta si è chiusa dolcemente. Il mio sorriso stava in piedi da solo, sicuro di sè. E i tuoi occhi mi hanno ridisegnato. Oggi è una giornata che rimane scolpita fra la volontà e l'intenzione. Fra l'amore e la comprensione.
Forse è un piccolo miracolo. Forse è giunto il momento di ricercare la luce, appena oltre queste nuvole illusorie.

martedì 14 gennaio 2014

Verità

Mi sporco continuamente la bocca con questa parola, gocciola dalle mie labbra come un suono di preghiera: è il mio appiglio, la mia fede ed il mio credo. Voglio Verità. Squadro il mondo in prospettiva di vederla giungere da ogni dove, come se fosse l'assicurazione al vivere bene. So bene che non è così, che anzi, Verità non è vestita di dolcezza e piacevoli forme, essa è nuda, magra, scarna. Ma è trasparente, il suo sguardo può essere duro, ma non cela cattiveria.
E' l'unica cosa che penso possa farmi sentire al sicuro. Potrebbe distruggermi. Ma è genuina. Confido in essa, perchè è alla sua semplicità che miro. Alla sua essenzialità. Non ha niente in meno o niente in più di ciò che deve essere. Chi mi parla sinceramente, avrà tutta la mia fiducia e tutta la mia capacità di ascoltare. Perchè questa morbosità per la verità? Perchè essa presuppone il coraggio: va di pari passo. La verità è lo strumento con cui ci si può redimere. Si sa che siamo fallaci, si sa di sbagliare. Dire la verità, ammettere a se stessi e di conseguenza agli altri, è il giusto contrappasso. "La verità rende liberi", è vero. Guardare una persona negli occhi, prepararsi a dirle qualcosa che la farà stare male (probabilmente), esporsi alla sua rabbia e al suo giudizio equivale a denudarsi, ad essere pronti per divenire acqua di ruscello, chiara trasparente e silenziosa. Dopo la verità nient'altro può essere detto: quel silenzio è gonfio di significato. Quel silenzio racchiude tutte le cose belle che una persona può donare: rispetto per il tuo dolore, amore, dignità, consapevolezza. La consapevolezza. Solo dopo aver preso atto si può tornare all'azione, decidere che fare, se porre rimedio, se biasimarsi o morire di vergogna. Solo dopo aver ammesso di essere fallibili.
Da qui nascono tutte le incomprensioni: siamo esseri che sbagliano, è naturale così. Ciò che ci rende "divini", non è la presunzione, la finzione di apparire perfetti, di nascondere le nostre colpe e illudersi di poterle cancellare. Il nostro essere divino sta nel rendersi conto della nostra natura, della nostra natura fallace e ammetterlo. Così ci avviciniamo alla divinità. Eterna comprensione. Di noi stessi in primis.
Questo non deve essere il presupposto su cui costruire la mediocre giustificazione che copre colpevole i nostri errori e li sminuisce. Non dobbiamo giustificarli perchè "tanto siamo destinati a sbagliare sempre". No. Tendiamo più che altro a comprenderci sempre di più, attraverso gli sbagli, ciò a cui tendiamo è la nostra felicità. I bugiardi non sono persone felici. Chi si arrende ai propri sbagli non è felice.
Chi ha il coraggio di autopunirsi denunciando le proprie debolezze si incammina verso la liberazione di se stesso e della sua felicità.

Che questo scritto rimanga su questa pagina e in me per sempre, che mi aiuti a essere meno debole e non mentire. Che vi aiuti a sentirvi meno soli e meno pessimi: avete qualcuno che condivide la vostra stessa codardia, me. Tutta l'umanità partecipa di questa colpa. Tutta l'umanità può redimersi.


                                                                                                         A Soren e a Stè
                                                                                                       "Ognuno di noi è Dio: è dio di se                                                                                                                                                           stesso."