Se lo chiedeva, lei, perché si
ritrovasse così spesso nel vicolo cieco della paura e della
disperazione assoluta, quando invece avrebbe voluto essere tanto
serena, tanto pacata. Era come se una forza si impadronisse di lei,
un fuoco che lambendola la faceva vergognare di essere lambita, e
quindi lei gli si opponeva. Afferrava le parole, che non erano quelle
giuste per lei, sentiva un silenzio che non doveva esserci per lei, e
d’improvviso la vampata partita dalle viscere le investiva tutto il
petto, arrivando fino agli occhi e alle tempie: una zaffata di calore
che non aveva deciso lei. Questa cosa incalcolata era decisamente
troppo e non doveva essere permessa. D’altronde, lei non aveva dato
il permesso a quel calore di diffondersi ed abbattersi su di lei. Lei
doveva pur reagire all’affronto. E agiva assecondandolo, perché
sotto sotto lei è una fervente credente. È la fedele più
fedele. Lei spera e si consuma in questa speranza. La speranza della
ragione, la speranza che ci sia un senso. Tutto il suo essere
si consuma in questa speranza, anche quando pensa di non crederci
più. Il senso la permea, questo senso che però non ha alcuna base
solida, ma disperata. La fede nell’intelletto, in un Intelletto
universale che giustifichi perché qualsiasi cosa succede.
E allora deve
esserci una ragione, un perché sensato, logico, lineare e reale a
quell’ondata di ira calda e vergognosa. Allora
una causa deve essere trovata, una causa nel concreto, nelle
vicissitudini. Se non è stata lei a decidere quella reazione che pur
tuttavia subisce, la ragione deve essere
da un’altra parte. Al di fuori di lei, dentro quell’Intelletto
più grande quindi più oscuro per
degli intelletti finiti, ma
che però funziona sulle stesse regole di
un piccolo intelletto come
il suo. Ci deve essere
qualcosa sotto, altrimenti perché mai lei avrebbe una reazione così?
Lei non si accorge, ma confonde l’interno con l’esterno e la sua
strada fatta dal
mettere a posto e in ordine con distaccata sensatezza ogni cosa nello
stesso modo, con lo stesso metodo, è un fallimento globale
sotto l’aspetto
espistemologico. Mescola
campi e domini diversi, che rispondono a regole diverse,
uniformandoli tutti quanti sotto uno stesso indice; il suo.
Oltretutto il suo.
Quanti errori mascherati in presunta onestà intellettuale! Un
soggettivismo, un ego-centrismo, un’ egologia
di lei applicata a tutto il mondo.
Guarda
fuori dalla finestra, sente il sole che le penetra le iridi, sente
l’occhio reagire, stirarsi, lasciarsi stimolare dalla luce. È una
sensazione piacevole, che a lei piace ripetere un paio di volte.
Ritorna a guardare davanti a sé, nella stanza meno luminosa, e poi
ritorna a guardare fuori, alla ricerca di qualche fotone che le
stimoli la pupilla, per avvertire di nuovo quel senso di
dispiegamento dei suoi occhi che nello stesso momento, però,
è anche un contrarsi. Che strano, non riesce a decidersi se è uno
stiramento o una contrazione. Oscilla fra i due opposti concetti e
opta, come spesso fa, per la terza via, di mantenimento di entrambi
gli aspetti. Come spesso fa,
per queste cose, per questi sollazzi minori,
da gioco della mente. Quando
poi si tratta delle cose che meritano davvero, che
hanno delle conseguenze e
possono condizionare la sua vita, la sua essenza o più semplicemente
il suo carattere, decide per la tortura estrema (Bacone:
ottenere risposte dalla Natura anche a costo di metterla sotto
tortura, pur di farla parlare)
affinché riesca a estorcere un aspetto,
una tonalità
inconfondibile con qualsiasi
altra (quel colore è rosso mattone, senza se e senza ma, e senza
ritornarci più sopra). A
lui; a se stessa; a come è
fatto il mondo.
Lei
lo intuisce, è affascinata dalla
contraddizione, ma è irrimediabilmente attratta e costretta a
ricercare quello che non può che essere
assolutamente. È alla
ricerca, sempre, di un appiglio così tanto solido da potercisi
aggrappare irrevocabilmente, abbandonando per sempre quel dubbio che
ama tanto abitare ma che sotto sotto disprezza e che medita di
sacrificare. Al riparo così, lei potrebbe non avere più paura.
Alcun timore, alcuna incertezza. Eviterebbe così, aggrappata in una
posizione tanto brutta quanto rigida, di sentire di nuovo quel calore
invadere il suo corpo senza
che lei abbia potuto innalzare difese o premeditare qualche reazione.
Quell’ondata non arriverebbe più a disturbare il suo corpo; perché
il suo corpo sarebbe totale, unico, immobile. Sarebbe un corpo privo
di possibilità. In rigor mortis,
cosicché nessuna
modificazione potrebbe insinuarsi nei suoi tessuti e nelle sue
articolazioni ormai già da sempre contratte.