martedì 16 aprile 2019

(ri)epilogo


Se lo chiedeva, lei, perché si ritrovasse così spesso nel vicolo cieco della paura e della disperazione assoluta, quando invece avrebbe voluto essere tanto serena, tanto pacata. Era come se una forza si impadronisse di lei, un fuoco che lambendola la faceva vergognare di essere lambita, e quindi lei gli si opponeva. Afferrava le parole, che non erano quelle giuste per lei, sentiva un silenzio che non doveva esserci per lei, e d’improvviso la vampata partita dalle viscere le investiva tutto il petto, arrivando fino agli occhi e alle tempie: una zaffata di calore che non aveva deciso lei. Questa cosa incalcolata era decisamente troppo e non doveva essere permessa. D’altronde, lei non aveva dato il permesso a quel calore di diffondersi ed abbattersi su di lei. Lei doveva pur reagire all’affronto. E agiva assecondandolo, perché sotto sotto lei è una fervente credente. È la fedele più fedele. Lei spera e si consuma in questa speranza. La speranza della ragione, la speranza che ci sia un senso. Tutto il suo essere si consuma in questa speranza, anche quando pensa di non crederci più. Il senso la permea, questo senso che però non ha alcuna base solida, ma disperata. La fede nell’intelletto, in un Intelletto universale che giustifichi perché qualsiasi cosa succede.
E allora deve esserci una ragione, un perché sensato, logico, lineare e reale a quell’ondata di ira calda e vergognosa. Allora una causa deve essere trovata, una causa nel concreto, nelle vicissitudini. Se non è stata lei a decidere quella reazione che pur tuttavia subisce, la ragione deve essere da un’altra parte. Al di fuori di lei, dentro quell’Intelletto più grande quindi più oscuro per degli intelletti finiti, ma che però funziona sulle stesse regole di un piccolo intelletto come il suo. Ci deve essere qualcosa sotto, altrimenti perché mai lei avrebbe una reazione così? Lei non si accorge, ma confonde l’interno con l’esterno e la sua strada fatta dal mettere a posto e in ordine con distaccata sensatezza ogni cosa nello stesso modo, con lo stesso metodo, è un fallimento globale sotto l’aspetto espistemologico. Mescola campi e domini diversi, che rispondono a regole diverse, uniformandoli tutti quanti sotto uno stesso indice; il suo. Oltretutto il suo. Quanti errori mascherati in presunta onestà intellettuale! Un soggettivismo, un ego-centrismo, un’ egologia di lei applicata a tutto il mondo.

Guarda fuori dalla finestra, sente il sole che le penetra le iridi, sente l’occhio reagire, stirarsi, lasciarsi stimolare dalla luce. È una sensazione piacevole, che a lei piace ripetere un paio di volte. Ritorna a guardare davanti a sé, nella stanza meno luminosa, e poi ritorna a guardare fuori, alla ricerca di qualche fotone che le stimoli la pupilla, per avvertire di nuovo quel senso di dispiegamento dei suoi occhi che nello stesso momento, però, è anche un contrarsi. Che strano, non riesce a decidersi se è uno stiramento o una contrazione. Oscilla fra i due opposti concetti e opta, come spesso fa, per la terza via, di mantenimento di entrambi gli aspetti. Come spesso fa, per queste cose, per questi sollazzi minori, da gioco della mente. Quando poi si tratta delle cose che meritano davvero, che hanno delle conseguenze e possono condizionare la sua vita, la sua essenza o più semplicemente il suo carattere, decide per la tortura estrema (Bacone: ottenere risposte dalla Natura anche a costo di metterla sotto tortura, pur di farla parlare) affinché riesca a estorcere un aspetto, una tonalità inconfondibile con qualsiasi altra (quel colore è rosso mattone, senza se e senza ma, e senza ritornarci più sopra). A lui; a se stessa; a come è fatto il mondo.
Lei lo intuisce, è affascinata dalla contraddizione, ma è irrimediabilmente attratta e costretta a ricercare quello che non può che essere assolutamente. È alla ricerca, sempre, di un appiglio così tanto solido da potercisi aggrappare irrevocabilmente, abbandonando per sempre quel dubbio che ama tanto abitare ma che sotto sotto disprezza e che medita di sacrificare. Al riparo così, lei potrebbe non avere più paura. Alcun timore, alcuna incertezza. Eviterebbe così, aggrappata in una posizione tanto brutta quanto rigida, di sentire di nuovo quel calore invadere il suo corpo senza che lei abbia potuto innalzare difese o premeditare qualche reazione. Quell’ondata non arriverebbe più a disturbare il suo corpo; perché il suo corpo sarebbe totale, unico, immobile. Sarebbe un corpo privo di possibilità. In rigor mortis, cosicché nessuna modificazione potrebbe insinuarsi nei suoi tessuti e nelle sue articolazioni ormai già da sempre contratte.