mercoledì 17 aprile 2013

Filosofia

Appoggio la testa su quell'abisso fatto di onde spumose e azzurre tendendo loro l'orecchio: arrivano ovattati discorsi di squisita armonia, dissonanze che però sono dolci da levigare. Decido di immergere tutto il corpo e mi lascio sopraffare: parole di persone lontane, ma che sono vicine al mio cuore, ai miei polmoni, più dell'aria e del sangue che dona vita alla mia persona. Ascolto con occhi stellati le vicissitudini, le frane del pensiero umano e il tentativo di saltare in alto, sempre più in alto, planare tra gli astri e struggersi di meraviglia per arrivare a Dio, alla sostanza, al Bene Sommo. Mi tengo fra le mani come perle discorsi acuti, alcuni ingenui e dolci, altri pesanti come il buio ma incantevoli come seta sulla pelle. Respiro Spinoza e il mondo crolla di vecchie idee tenute assieme dai tessuti del mio corpo. Un battito di vita in quelle parole, un battito di forza e volontà che mi fanno pensare "non voglio morire, voglio stringermi attorno al fuoco dei loro animi". Tutti loro, i più antichi e i più rivoluzionari, li tengo per il polso, non voglio dormire, voglio che mi tengano sveglia con le loro storie di vita e di massimi sistemi.
Trattengo granelli di verità, le sfaccettature di questo mondo che a volte mi pare troppo futile oppure troppo pesante. Vivo con loro, adagio il mio respiro al loro e mi fanno da grande culla dove tenere i germogli della mia mente.
Sorrido, perchè finalmente le mie domande trovano dei riflessi speculativi nella storia. I loro nomi sono rosari che placano la mia fame di vita e profondità. Ammiro quel professore che mi legge la poesia di Borges su Spinoza, l'altro che ci guarda e negli occhi ha punti interrogativi che indirizza verso di noi e ci narra di mondi soprasensibili, fenomeni, noumeni, vizi e virtù. Si parla di UMANITA', si parla di quei limiti invalicabili che attanagliano l'uomo ma che lo rendono libero, false credenze e dolci menzogne... Tutto nasce e muore nello spirito umano, il mondo è bellezza e putridezza, ci muoviamo alla cieca per sfamarci, senza sfamarci mai.

giovedì 4 aprile 2013

probabilmente il titolo giusto è ' vanità '

davvero, non ci riesco. Ho provato a mettermi il cuore in pace, ma continua a sgorgare sangue. Per i dolori di oggi, per le ferite di ieri.
Ci ho provato, ma mi tornano ancora in mente le sue parole sussurrate durante il concerto, mi tira dolcemente verso di sè, abbraccia le mie spalle, fa combaciare il mio corpo con il suo e mi canta "quella che non sei non sarai, a me basterà", e sorride e mi guarda con quegli occhi a cui era impossibile non credere, erano sinceri veramente. O così mi è sembrato. Ma in realtà non è andata così, mi ha abbandonato ad un angolo della strada ed è ripartito guardando di sfuggita dallo specchietto retrovisore con un sorriso di finto disappunto e di tenero e enorme orgoglio.
Mi ricordo di quando mi ha detto "io adesso sono qui per te, non ho nessun'altra; scegli tu, se ancora mi vuoi. io sono qui per te". Dio, ho stampata nella mente quella panchina all'ombra, dove la mia resistenza, la mia volontà di fare la preziosa si è sgretolata non appena l'alone del suo odore mi ha raggiunto. Mi ricordo di Bibbona, mi ricordo del bagno insieme e della notte bianca. Mi ricordo tutta la mia decisissima fermezza di credere in lui, di sperare che finalmente saltassimo insieme e spiccassimo il volo. Ma niente. Le mani si sono distaccate, io guardavo e non capivo e intanto perdevo quota. Dopo c'è stato solo il rumore assordante dello schianto e il rimettere a posto i cocci, tentare di risistemare il mio mosaico. C'è voluto parecchio, qualche tesserina credo di averla persa per sempre.
Ricordo di come mi guardava negli occhi, con quel mezzo sorriso sulle labbra fini che mi faceva impazzire. Perchè mi sembrava felice, perchè credevo di renderlo felice.

Credo si possa chiamare ' vanità ', perchè questa relazione non ha fatto altro che male, almeno parlando per me. Tutto quello che è sopravvissuto è l'umiliazione, la sofferenza, la mortificazione. Di essermi fidata, di essermi spinta oltre, ma da sola, senza di lui. Credere di poter supportare il peso del rapporto su solo le mie spalle. Non ce l'ho fatta. E' vanità: l'orgoglio non può altro che vantarsi del mio masochismo titanico, eroico, perseverante. Vado narrando le mie disgrazie, il termine giusto mi sa che è proprio "la mia tragedia shakespeariana". Lui è il simbolo della tristezza - della presa in giro.

Ma mi piace credere di essere cambiata. Sento che non gli voglio più permettere di comportarsi come vuole. Le sue battutine, no. Quelle allusioni, no. Ancora se ne vanta di aver piegato me, alla sua volontà. Ancora ha le penne gonfie di vanità (questa volta la sua) per essere riuscito ad avermi, senza amarmi, ad ottenermi, prima a non volermi, poi a volermi e poi di nuovo a non volermi, a respingermi.

17 maggio 2012

Somebody that I used to know

La guardo ma non capisco: come sia potuto sfiorire il nostro mondo, come siano potuti morire i suoi colori. Sono sorda ai suoi richiami (esistono ancora i suoi richiami?) e il suo sguardo è fugace sopra di me, mai che si soffermi per più di un attimo; cosa hai paura di trovarci in me? Forse, le distanze che ormai ci separano, due mondi nuovi sono nati dalla nostra scissione, il mio ed il tuo. Una volta era diverso, vivevamo in simbiosi (tempi andati), le nostre realtà. le nostre vite fuse. Ci rifugiavamo in camera tua, con la porta chiusa e ci dicevamo tutto, ogni singola cosa, in fretta e con la paura che qualcuno potesse ascoltare parole che invece erano solo per noi. Parole sacre, indelebili, piccoli amori, gioie e le prime illusioni.
Adesso c'è il gelo, nebbia ghiacciata sui nostri occhi. Non ci sappiamo più vedere. In realtà, non ci sappiamo neanche più cercare. Siamo cambiate, ma ciò che mi resta di traverso è che è cambiato il filo che ci legava: lo credevamo indistruttibile, forte e resistente. Adesso è sbiadito, logoro. Non siamo riuscite a tenerci strette, a sorriderci ancora nonostante tutto... Ma nonostante tutto cosa? Nonostante la vita. Le mille vie della realtà dove abbiamo giocato a perderci e poi lo abbiamo fatto veramente. E siamo andate avanti, sole, facendo finta che niente fosse cambiato.
Cosa ci accomuna adesso? Il passato, ciò che ormai non è più.