giovedì 4 aprile 2013

probabilmente il titolo giusto è ' vanità '

davvero, non ci riesco. Ho provato a mettermi il cuore in pace, ma continua a sgorgare sangue. Per i dolori di oggi, per le ferite di ieri.
Ci ho provato, ma mi tornano ancora in mente le sue parole sussurrate durante il concerto, mi tira dolcemente verso di sè, abbraccia le mie spalle, fa combaciare il mio corpo con il suo e mi canta "quella che non sei non sarai, a me basterà", e sorride e mi guarda con quegli occhi a cui era impossibile non credere, erano sinceri veramente. O così mi è sembrato. Ma in realtà non è andata così, mi ha abbandonato ad un angolo della strada ed è ripartito guardando di sfuggita dallo specchietto retrovisore con un sorriso di finto disappunto e di tenero e enorme orgoglio.
Mi ricordo di quando mi ha detto "io adesso sono qui per te, non ho nessun'altra; scegli tu, se ancora mi vuoi. io sono qui per te". Dio, ho stampata nella mente quella panchina all'ombra, dove la mia resistenza, la mia volontà di fare la preziosa si è sgretolata non appena l'alone del suo odore mi ha raggiunto. Mi ricordo di Bibbona, mi ricordo del bagno insieme e della notte bianca. Mi ricordo tutta la mia decisissima fermezza di credere in lui, di sperare che finalmente saltassimo insieme e spiccassimo il volo. Ma niente. Le mani si sono distaccate, io guardavo e non capivo e intanto perdevo quota. Dopo c'è stato solo il rumore assordante dello schianto e il rimettere a posto i cocci, tentare di risistemare il mio mosaico. C'è voluto parecchio, qualche tesserina credo di averla persa per sempre.
Ricordo di come mi guardava negli occhi, con quel mezzo sorriso sulle labbra fini che mi faceva impazzire. Perchè mi sembrava felice, perchè credevo di renderlo felice.

Credo si possa chiamare ' vanità ', perchè questa relazione non ha fatto altro che male, almeno parlando per me. Tutto quello che è sopravvissuto è l'umiliazione, la sofferenza, la mortificazione. Di essermi fidata, di essermi spinta oltre, ma da sola, senza di lui. Credere di poter supportare il peso del rapporto su solo le mie spalle. Non ce l'ho fatta. E' vanità: l'orgoglio non può altro che vantarsi del mio masochismo titanico, eroico, perseverante. Vado narrando le mie disgrazie, il termine giusto mi sa che è proprio "la mia tragedia shakespeariana". Lui è il simbolo della tristezza - della presa in giro.

Ma mi piace credere di essere cambiata. Sento che non gli voglio più permettere di comportarsi come vuole. Le sue battutine, no. Quelle allusioni, no. Ancora se ne vanta di aver piegato me, alla sua volontà. Ancora ha le penne gonfie di vanità (questa volta la sua) per essere riuscito ad avermi, senza amarmi, ad ottenermi, prima a non volermi, poi a volermi e poi di nuovo a non volermi, a respingermi.

17 maggio 2012

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